Venerdì sera, a Salerno, andava in scena un colloquio fra Vito Mancuso e Marco Pannella, dal titolo: "Come e quali credenti, oggi, qui".
Non so se abbiate la pazienza di sorbirvelo tutto: io l’ho avuta (anche se al mio fianco il Venerabile commentava disincantato che la cosa migliore della serata erano le sedie), anche perché ero andato lì apposta, con l’intenzione bellicosa di porre a Mancuso una domanda a partire dal libro, L’anima e il suo destino, che avevo letto nel 2007, a dicembre (insieme a Patrimonio, di P. Roth: ricordo la cosa per qualche ragione). La domanda lascia perdere l’idea di fondo del libro – che c’è una fresca corrente che ci porta ben benino dalla materia fino allo spirito, all’infinito e oltre -, e si sofferma su un punto al quale mi pareva che un teologo dovesse tenere un po’ di più di quanto non facesse Mancuso nel libro. Ma mi sbagliavo.
P.S. Se scorrete la colonna degli interventi, a destra, vi potete risparmiare le due ore complessive, e limitarvi a domanda e risposta.