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La nuova Europa e le paure del Pd

(O anche: Idee e temi per l’Europa)

In cerca di conforto, ho aperto un libro, ma non dico subito quale per dare a tutti il medesimo sollievo. Vi ho trovato infatti la seguente affermazione: “La politica di una nazione non può essere condotta come un seminario di filosofia”. Siamo tutti d’accordo, credo; e la precisa consapevolezza che non è mai il momento di meri dibattiti accademici può aiutare particolarmente, in frangenti in cui le decisioni di un governo di professori devono maturare nel giro di pochi giorni, sotto la pressione dei mercati e il rischio concreto di fallimento: dell’Italia e dell’euro. Poi una seconda affermazione, nella stessa pagina: “Nel nostro paese il dibattito politico non raggiunge nemmeno il livello accettabile per una scuola superiore”. Seguono esempi; ma siccome non si parla dell’Italia, e siccome vale il vecchio adagio per cui un mal comune procura almeno mezzo gaudio, possiamo consolarci. E, soprattutto, collocarci: in mezzo tra il rigoroso convegno scientifico e l’arrabbiata assemblea studentesca.

È bene però sapere che un simile spazio non esaurisce affatto il dibattito pubblico. In termini politici si dirà: tanto il Pd quanto il Pdl avranno sempre, al loro lato, opinioni e forze che, dal punto di vista della loro collocazione, si situano alle estreme, e che proprio per questo possono coltivare irresponsabilmente tanto le teorizzazioni più astratte quanto gli atteggiamenti più protestatari. La fisiologia dei sistemi politici vorrebbe che il compito dei partiti maggiori fosse proprio quello di assorbire le spinte estremistiche. Mentre però nel corso della prima Repubblica la Dc e il Pci (i partiti-sistema) hanno svolto efficacemente questa funzione, non si può dire altrettanto dei loro succedanei durante la seconda Repubblica. Forse, la recente religione del maggioritario andrebbe giudicata anzitutto per la prova che ha dato su questo terreno.

Oggi si apre una fase nuova. Cosa ci sia a destra del governo Monti, con la rottura fra Pdl e Lega (e lo sbianchettamento del berlusconismo) si è fatto abbastanza chiaro, fra populismi, antieuropeismi e persino secessionismi che tornano ad esprimersi senza troppi infingimenti. Ma anche a sinistra c’è un vasto mondo di idee che la postura istituzionale del Pd relega inevitabilmente ai margini. O almeno: questo dovrebbe fare il Pd, senza paura, rivendicando con convinzione il proprio ruolo nazionale ed europeo. Facendone un punto di forza, non di debolezza. Non si agitano infatti alla sua sinistra bandiere improbabili come il diritto alla bancarotta o riti apotropaici come la maledizione dell’euro? La decrescita felice di cui si favoleggia nei collettivi di sinistra non è l’opposto speculare dell’austerità espansiva che si sono inventati fior di economisti a destra? Non c’è infine da evitare il rifiuto manicheo del dio malvagio della finanza, ma anche il rischio che, prima o poi, dopo il salario, spunti fuori la pensione come variabile indipendente?

Il fatto è che, dentro i vincoli dell’Unione, diverse idee di Europa sono possibili: non occorre affatto divincolarsi del tutto, per essere coerenti (e perdenti); si può invece elevare il dibattito pubblico all’altezza di quelle idee diverse. Messe le cose in questa prospettiva, posso quindi rivelare di quale libro si trattasse, all’inizio: de La democrazia possibile. L’autore è il filosofo liberal Ronald Dworkin, e il paese di cui si parla è l’America. È in America che Dworkin lamenta l’assenza di un dibattito pubblico degno di questo nome. Ed è in America che, per esempio, Dworkin non riesce a spiegare che una politica che abbia i titoli democratici in ordine è quella che si domanda: “che politica fiscale deve adottare un governo che intende riservare un uguale trattamento a tutti i suoi membri?”. Ed è sempre agli americani che Dworkin vorrebbe far capire che gli argomenti con i quali si sostiene che il reddito non ancora tassato è tutto di chi lo produce “mancano di coerenza”. Figuriamoci la coerenza: ci vuole troppa filosofia! Ma l’idea di Dworkin è che la distribuzione della ricchezza, come i diritti umani o il ruolo della religione nella sfera pubblica, sono temi che possono stare ben dentro il dibattito democratico, non solo nelle aule universitarie o nei collettivi studenteschi. Siccome alcuni di questi temi negli ultimi anni ne sono fuoriusciti, ad agitarli sembra ora che si pecchi di velleitarismo o di infantilismo.  Non è così. Ma siccome questi temi debbono rientrarvi, è bene separarli da quelli che, invece, ci terrebbero fuori dall’Europa.

Il Mattino, 12 dicembre 2011