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Cento porte, cento strade

Se viveste in un castello che ha cento porte, e sapeste che dietro tutte quelle porte può esserci un nemico mortale, vi impegnereste a sbarrare la prima porta, anche se non aveste, sul momento, idea di come sbarrare le altre novantanove? Fate però che sbarrare la prima delle 100 porte non significhi dedicare ogni grammo della vostra esistenza all’impresa, e che io non vi stia cadendo di rinchiudervi in uno spazio angusto e inospitale, ma al contrario di renderlo il più possibile ospitale, e il meno possibile esposto all’irruzione della morte.

Però forse avete ancora dei dubbi. Forse voi pensereste che comunque non ne vale la pena. Ma avreste nulla in contrario se altri, che vivono nei loro castelli, provvedessero a sbarrare la loro porta: è così riprovevole?
No, non lo è. Ma può apparire vano, dal momento che la morte può sorprendervi da ognuna delle altre 99 porte. Il che è vero. Ma è vano come vana è, a cospetto della morte, ogni altra impresa umana. E bisogna sapere che quando si usa quest’argomento per trovare insensata l’impresa di chiudere almeno una porta, si usa un argomento che rende insensata, in genere, ogni impresa umana che non sia una meditazione sulla morte. (In realtà, è vana pure quella meditazione, e per gli stessi motivi. E qui c’è il lato politico della faccenda, perché non sono gli stessi, gli uomini che, nella considerazione della universale vanità dell’esistenza, meditano sulla morte, e gli uomini che invece meditano sulla vita – ma questa è un’altra storia).

Ciò detto e meditato, la porta è il tumore al seno, e le altre 99 porte sono gli altri tumori, e le altre infinite disgrazie e malattie che possono sorprenderci nel corso della nostra vita, senza che l’avere sbarrato la possibilità (percentualmente, a quanto leggo, bassa) di una contrazione della malattia per eredità genetica grazie alla selezione preimpianto impedisca al nuovo nato di ammalarsi e morire di chissà cosa.

Ma la selezione preimpianto non è senza costi, si obietta: si sopprimono embrioni. Il che, allo stato, è vero, ma significa che il punto è sempre lì, cosa mai sia un embrione. Solo che porte e castello stanno in quest’articolo di Marina Corradi, che in premessa mette da parte la domanda sull’embrione, nel tentativo di proporre argomenti che a suo dire sconsiglierebbero la selezione preimpianto per l’insensatezza della cosa. Il che, come s’è visto, non è, se non a prezzo di rendere insensata ogni cosa, compreso scrivere articoli sull’argomento.

(C’è un altro modo di considerare insensato l’atteggiamento dei genitori inglesi che hanno seguito la strada criticata dalla Corradi, a cui l’articolista accenna, ed è quello di ricondurre l’intera faccenda ad una sorta di fissazione un po’ paranoica: ho sconfitto quel timore, ho sconfitto il tumore. Ma non v’è ragione di supporre che i genitori inglesi non sappiano che hanno solo ridotto le possibilità che il loro figlio o la loro figlia contragga quel tumore. E se io fossi di fronte a cento strade, ognuna delle quali contenesse potenziali pericoli ma una più delle altre, credo proprio che, senza pensare di avere evitato ogni pericolo, e senza sentirmi paranoico, eviterei senz’altro la strada che mi risulta essere la più pericolosa).

L'embrione è qualcosa o qualcuno?

Una versione appena più eleborata dell’articolo apparso su Il Mattino è uscita sul numero 1 della nuova rivista Schibboleth