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Il tema del progresso secondo un filosofo e uno scienziato

 

EXPO 1900

Edoardo Boncinelli è il più noto biologo italiano. Gli capita di frequente di finire in qualche traccia dell’esame di Stato. È successo anche questa volta, la terza. «Evidentemente c’è qualcosa, nel mio modo di scrivere, che piace al Ministero» dice, tra il divertito e il compiaciuto. Così gli chiedo di riproporci la riflessione che il Miur ha scelto per il tema di ordine generale, sulle diverse forme e velocità del progresso.

«Di progresso si parla da almeno due secoli. La domanda che tutti ci facciamo, alla quale rispondeva il mio articolo, è: come mai in certi ambiti si progredisce tanto, mentre in altri così poco e così lentamente, anzi sembra a volte che torniamo indietro? È un tema cruciale. Io distinguo un progresso esterno, e uno interno. Il progresso esterno è veloce; quello interno è lento perché dipende dalla biologia, che per sua natura è lenta. In aggiunta a questo, do un elemento di riflessione attualissimo: molto presto l’uomo sarà in grado di modificare il proprio genoma, e quindi avrà la possibilità di scegliere la direzione in cui andare».

Il progresso esterno, per Boncinelli è il progresso materiale, tecnico, scientifico. Quello interno è morale, individuale e biologico. Che la morale sia una faccenda solo individuale, e che dipende da determinanti di carattere biologico a me non pare così ovvio. E neppure che non vi siano linee di progresso in ambito morale e civile.

Non sono d’accordo. Una cosa è sapere; un’altra sapere comportarsi. Io posso sapere tutto e comportarmi male. A differenza di quello che diceva il povero Socrate, per il quale se so le cose come stanno le faccio anche, la verità è proprio l’opposto: sono due cose completamente separate.

Non siamo d’accordo anche su un altro punto. Boncinelli scrive che le civiltà possono essere civili o civilissime anche se non tutti i loro membri si comportano «come si deve». Sembra che la creatività individuale – la «devianza di taluni singoli», si legge nelle linee di orientamento sulle tracce – sia o possa essere solo elemento negativo di disturbo, di disordine: di immoralità, insomma.

L’individuo è capace di tutto. Lo pensava Hannah Arendt: a fare il male non ci vuole nulla; a fare il bene ci vuole un sacco di fatica. Ma voglio chiarire: quello che a me fa paura è la devianza comportamentale, non la devianza concettuale. Dal punto di vista conoscitivo i geni sono proprio quelli che fanno un passo di lato; ma questo, se funziona, poi viene riassorbito dall’avanzamento culturale generale»

Siccome il tema della natura si trova anche nelle altre tracce, provo a chiedere a Boncinelli cosa pensa delle proposte di quest’anno.

Complessivamente non mi sembrano brutte tracce. Hanno due pregi: parlano di cose di oggi e lasciano al candidato una grande libertà. Le tracce che imprigionano non vanno bene. E poi il tema della natura davvero non poteva mancare.

Nella prima traccia è richiesta l’analisi di una poesia di Giorgio Caproni, sul tema del rapporto dell’uomo con l’ambiente. Tutto precipita nel verso finale (Come/ potrebbe tornare a esser bella,/ scomparso l’uomo, la terra»), col suo sublime paradosso: per chi o per cosa, infatti, sarebbe bella la terra, una volta scomparso l’uomo? Ma i versi che colpiscono me sono altri: «il galagone, il pino:/ anche di questo è fatto/ l’uomo». Gran bel capoverso! L’uomo è fatto: del galagone, del pino, del lamantino?

Io sono un biologo. Per me è ovvio che noi non solo discendiamo da altre specie viventi, ma siamo in stretto e quotidiano contatto con loro. Del resto, cosa c’è che ci rende comprensibili a noi stessi se non l’osservazione animale? L’alternativa sarebbe studiare gli angeli, ma gli angeli non ci sono!»

Però un’altra alternativa forse si affaccia, nel mondo contemporaneo. Ed è quella di studiare le macchine. Il saggio di argomento tecnico-scientifico, sulla robotica, prova a suggerirlo.

Le macchine ci dicono alcune cose utili, ma non ci dicono il nocciolo del problema, perché sistematicamente scopriamo che affrontano situazioni e risolvono i problemi in modo diverso da come lo fanno gli esseri viventi. Questa è una lezione importante.

Lei dunque dice che le ricerche sull’intelligenza artificiale non possono arrivare fino a una simulazione completa dell’intelligenza umana?

No. Dico un’altra cosa. Le macchine imparano, ma imparano in maniera completamente diversa dal modo in cui impariamo noi. Si può simulare l’essere umano, ma lo si può simulare anche facendo cose completamente diverse.

E la Soft Robotics di cui parla uno dei documenti forniti agli studenti? Quali sviluppi possiamo attenderci dalla costruzione di robot con parti morbide, malleabili, deformabili, adatte a vari contesti? Noi siamo ancora abituati ad associare alla macchina, al robot, all’intelligenza artificiale l’idea opposta (non umana, né “intelligente”) della rigidità.

Effettivamente la robotica sta cambiando. Riusciamo a fare parti “meccaniche” con materia organica, quindi facilmente assimilabili dal nostro corpo. È una prospettiva molto interessante, alla quale non siamo ancora abituati a pensare. Lentamente, senza fretta, bisognerà cominciare ad abituarcisi. Temo le mode giornalistiche. Ma quando saranno realtà, bisognerà capire che i robot sono un aiuto, e non necessariamente una fotocopia degli esseri viventi.

Al Parlamento europeo si è cominciato a riflettere sui risvolti etici della diffusione delle macchine, introducendo concetti come la responsabilità civiche delle macchine, lo status giuridico delle persone elettroniche…

Secondo me sono nozioni ancora fantascientifiche. Mi posso sbagliare, perché non è il mio campo, ma siamo lontani. Anche se prima o poi arriveranno».

Posso chiederle un’ultima riflessione sulla tecnica in generale, com’è presente nei documenti di questa prima prova? La tecnica rappresenta una minaccia o un’opportunità, toglie posti di lavoro o ne offre di nuovi, distrugge o crea? Non mi sembra che la traccia suggerisca però, più radicalmente, che l’uomo in realtà non è un’altra cosa dall’uomo e dalla sua natura.

La tecnica aiuta e crea. Noi demonizziamo, soprattutto in questo Paese, la tecnica, perché pensiamo che esista l’anima, che però nessuno ha mai incontrato. Direi anzi di più: l’uomo è la tecnica. Pensi che la prima definizione di uomo non è anatomica o fisiologica, ma si rifà alla capacità di costruire strumenti. La tecnica è definitoria dell’essere umano.

C’è infine, nei testi dell’esame, un celebre passo di Leopardi, tratto dalle «Operette morali». La natura, nel dialogo con un islandese, dice: pensi tu davvero che il mondo sia fatto per causa dell’uomo? Questa critica dell’antropocentrismo con cui guardiamo tradizionalmente la natura si può far risalire a Lucrezio o a Spinoza, ma io le chiedo: quanto è invece ancora pensiero nostro, oggi, dei nostri ragazzi?

Io ne ho appena scritto insieme a Giulio Giorello [«L’incanto e il disinganno», Guanda]: Leopardi è di una modernità bruciante. La natura però, gliela dico così, si fa i cazzi suoi. Solo che a noi questa idea non piace.  Quanto ai ragazzi, seguono il mercato. Il mercato dice che tutto ciò che è naturale è bene, tutto ciò che è naturale è male. E questa è una cretinata.

(Il Mattino, 22 giugno 2017)

Maturità, i bei temi mai studiati in classe

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Anna Trieste: Posto che secondo me l’analisi del testo è la soluzione più facile (non devi scrivere niente, sta già tutto scritto, devi solo analizzarlo e eventualmente fare delle considerazioni) io penso che, esattamente come al mio esame di maturità, anche stavolta avrei scelto questa tipologia. Al di là dell’autore, Umberto Eco, che può piacere o meno ai ragazzi soprattutto per via di questo fatto che disse, non senza reazioni indignate soprattutto da parte dei giovani internauti, che i social networks hanno dato diritto di parola a “legioni di imbecilli”, penso che il brano scelto dal Miur sia proprio bello perché finalmente mette nero su bianco a che serve la letteratura. Certo, per gli studenti della letteratura stessa forse sarebbe stato meglio scoprirlo un poco prima, magari all’inizio del corso di studi e non l’ultimo giorno agli esami, e però, visti i tempi della burocrazia italiana, meglio tardi che mai. Magari adesso i maturandi sapranno che leggere Dante non serve soltanto a prendere voti alti in pagella ma pure a rispondere “Non ragioniam di loro ma guarda e passa” quando qualcuno li apostrofa come imbecilli

M. A.: Facile l’analisi del testo? Non so, a me – tanto per cominciare – avrebbero spaventato tutti quei puntini e quelle parentesi quadre, con cui hanno spezzettato il testo di Eco per proporlo debitamente accorciato agli studenti, o forse per offrire loro qualche spunto in più. Col risultato che gli spunti sono un po’ troppi, almeno per me: lingua, manutenzione della lingua, interpretazione, fedeltà e libertà dell’interpretazione… Ma i buchi! Chissà cosa c’era lì, in quei buchi, che gli studenti non han potuto leggere! Ecco, se tra i maturandi di quest’anno ce ne fosse uno particolarmente brillante, e capace di ironia quanto il buon Umberto Eco, uno che sapesse quali abissi deve superare il ponte di inchiostro nero costruito dalle lettere dell’alfabeto sul mare della pagina bianca, ebbene: questo studente potrebbe dedicarsi all’analisi di tutti quei buchi, delle intenzioni che celano e delle libertà che così si prendono. Invece di commentare il testo, proverebbe a fare lui un esercizio di letteratura degno dei calembour di cui Eco era maestro, dedicandosi ai puntini sospensivi, ai vuoti invece dei pieni. Un romanzo sulla costruzione del testo, tra funzionari che si rubano le parole, e ambigue paranoie ministeriali sulle dimensioni della pagina. Ho il sospetto che però la commissione non avrebbe apprezzato

A. T.: E dipende. Se nella commissione ci stava quello che all’esame mio mi chiese se avevo mai aperto un telecomando per vedere com’era fatto da vicino un campo elettromagnetico, forse sì! Ma ne dubito. Così come dubito che i ragazzi abbiano fatto i salti di gioia a vedere le tracce del cosiddetto saggio breve o articolo di giornale. Il rapporto padre/figlio; l’avventura dell’uomo (della donna in questo caso) nello spazio; il rapporto conflittuale di Bob Kennedy col Pil e quello di Vittorio Sgarbi col paesaggio. Rapporto altrettanto conflittuale, eh, chi se la scorda l’invettiva del critico contro i cancelli fallici che nascondevano ai napoletani la vista delle tuileries! Non so, a leggere le tracce ci mancava solo la fame nel mondo e la tossicodipendenza e poi gli argomenti da intervista a miss Italia erano completi. Ma si possono domandare cose come il valore del Pil a studenti cui la domanda più ardita che viene posta durante un’interrogazione di storia o di italiano è se effettivamente Ranieri con Leopardi ci andava solo a fare le escursioni sul Vesuvio o qualcosa in più?

M.A.: Io non ho obiezioni alle tracce “saggistiche” salvo una: le avrei prima sottoposte ai docenti. Cioè dico: le avrei prima fatte svolgere a loro, per vedere come se la cavano, e poi ai ragazzi. Ho l’impressione infatti che siano un po’ lontane dalla concreta attività scolastica. Poi magari mi sbaglio, ma temo che con i programmi svolti durante l’anno c’entrino assai poco. E forse ancora meno col metodo d’insegnamento. Siccome però le tracce mi piacciono, mi paiono tutte suggerire una qualche forma di “uso del mondo”. Concetti per capire il presente. Bella impresa, però allora rivedrei qualcosa dei programmi, e soprattutto dei metodi (non oso dire del corpo docente). Oppure le tracce sono scritte apposta per dire che bisogna cambiare, svecchiare, rottamare? (Lo so, non sono le giornate giuste per queste parole). Poi però confesso di non sapere se davvero a miss Italia chiedono il PIL, o dei viaggi nello spazio. Vorrà dire che quest’anno che viene me la guardo, oppure intervisto Samantha (Cristoforetti, intendo)

A. T.: Vabbe’ ma tu sei un professore, questa è una chiarissima ciceronata pro domo tua! Quanto a miss Italia, uà (forma sincopata di Uh All’anima delle anime del purgatorio)! L’anno scorso è successo quel finimondo per la risposta della miss sulla seconda guerra mondiale… Comunque, a proposito di storia, la traccia sulla prima volta delle donne al voto mi è piaciuta. Insomma, visto il dibattito (dibattito, mo’, ‘e mazzate!) sul referendum di ottobre tutti si aspettavano qualcosa sulla Costituzione e il fatto che il Miur non abbia tradito le attese declinandole però al femminile mi è parsa una buona idea. Se l’avessi scelto, io non avrei mancato pure un riferimento all’astensionismo registratosi alle ultime amministrative. A Napoli, ad esempio, tra i 7 su 10 che non sono andati a votare ci saranno state anche donne. Forse non sanno quanto è costato alle protagoniste della traccia d’esame quel voto che hanno deciso di non usare

M. A.: Se faccio il professore ti chiedo subito: quanti ragazzi sanno però chi sono e cosa hanno scritto Alba De Cespedes e Anna Banti, al cui ricordo è affidato il racconto di quel primo voto? Però hai ragione: bella traccia, e bel timing. A me sarebbe piaciuto anche affiancarvi il nome delle donne che quel due giugno di settanta anni fa sono entrate nell’Assemblea Costituente: ventuno. E poi avrei chiesto di riflettere sui cambiamenti dei costumi, e sulle battaglie in cui le donne sono impegnate oggi. Che non sono più battaglie per vedersi riconosciuti diritti, ma per raggiungere un’effettiva parità nel loro esercizio e nel loro godimento. Colpisce Anna Banti quando dice che solo le donne e gli analfabeti possono capire l’emozione di quella storica giornata. Perché si tratta di un’emozione tutta politica e tutta affermativa, più forte anche dei bisogni sociali o economici. Però ho parlato delle donne italiane. Ma le donne irachene con le dita sporca d’inchiostro, dopo il voto: che fine hanno fatto? E le donne musulmane che in Italia non possono ancora oggi andare in bicicletta, perché è sconveniente?

A. T.: Già. Come forse era troppo “sconveniente”, nella traccia del tema di attualità, parlare apertamente di “immigrazione” e non di “confine”? Non so, è vero che ponendo l’accento sul concetto di “frontiera” si è data ai maturandi l’opportunità di sviluppare il tema sia dal punto di vista dell’economia di mercato sia dal punto di vista dei rapporti tra paesi UE (vedi Brexit) e dell’altrettanto aperto mercato dei rifugiati (perché di mercato si tratta, purtroppo) ma mi sarebbe piaciuto infinitamente di più se il ministero avesse scelto precipuamente l’immigrazione e l’inclusione dei migranti come tema da sottoporre ai ragazzi. Usando una terminologia cara agli economisti, in fin dei conti dipende da loro se nel “medio e lungo periodo” il nostro Paese riuscirà davvero ad essere senza confini: antirazzista e multiculturale

M. A.: E qui invece io avrei fatto il contrario (ma mi rendo conto: è questione di gusti): tu Ministero vuoi la butti in politica, coi muri e coi confini, però lo fai con concetti alti, anzi alati. Allora io mi prendo i concetti alati e volo via sulle ali della metafisica (cercando però di non uscire fuori traccia). Torno infatti a una preoccupazione che prima ti manifestavo. Vanno bene le tracce, ma quanto sono aiutati i ragazzi, nello svolgerle, dalle cose che hanno studiato durante l’anno? Temo molto poco. Questa traccia potrebbero svolgerla da attenti scrutatori del presente, ma sarebbero dei veri fenomeni – e io mi auguro che lo siano, o che lo saranno – se riuscissero a legarci Kant e i limiti della ragione, o l’infinito di Leopardi, o il via alle navi di Nietzsche, o il trascendentalismo americano e il mito della frontiera, o persino Auschwitz e se è possibile Dio dopo Auschwitz, o quello che vuoi, ma insomma: pezzi del loro percorso di studio. Se ci riescono, allora sì che meritano il massimo dei voti. Varcano la frontiera dell’esame di Stato, dimostrano che quello che hanno imparato gli può servire anche per capire il mondo.

(Il Mattino, 23 giugno 2016)