In piedi, dinanzi a un podio, i candidati alla guida della Regione Campania sono riusciti a stare senza difficoltà dentro le regole del confronto televisivo. Ed è un punto di merito, che hanno segnato tutti e cinque. Suonava il gong, e loro si tacevano: disciplinatamente. Il conduttore, dal canto suo, ha guidato il confronto sui binari programmatici, tenendo aperti capitoli importanti: prima la disoccupazione, più avanti la sanità, quindi i trasporti e la Terra dei fuochi: ce n’è di che parlare. E a due settimane dal voto viene anche un po’ di rammarico perché la campagna elettorale avrebbe potuto davvero aiutare i cittadini a scegliere. Dopo la prima risposta, i cinque profili erano infatti già nettamente delineati: Salvatore Vozza, Sinistra e Lavoro, insisteva sulla disoccupazione giovanile; Valeria Ciarambino, dei Cinquestelle, reclamava il reddito di cittadinanza; Marco Esposito, lista meridionalista Mo!, lamentava l’enorme squilibrio nei progetti europei a favore del Nord; Caldoro parlava con enfasi dei cantieri aperti in questi cinque anni; De Luca batteva e ribatteva sulla sburocratizzazione. Poi è venuta la seconda, inevitabile domanda: la campagna avvelenata dalla polemica sugli impresentabili. Nessuno ha voluto far nomi, ma Esposito e Ciarambino l’hanno giocata tutta in attacco; Caldoro e De Luca in difesa (mentre Vozza, sciorinando i nomi dei presentabili, cioè dei suoi futuri assessori, s’è tirato fuori dalla mischia). Difficile dire quanta parte del voto si orienterà in base alla qualità delle liste, ai condannati e agli inquisiti, alla quota di trasformisti presenti nell’uno o nell’altro schieramento, ma nel dibattito, salvo Valeria Ciarambino, la più aggressiva, non c’era molta voglia di discutere di queste cose. Non è un caso che il maggior numero di repliche si è avuto su un tema di programma, i trasporti, con Caldoro che difendeva l’opera di risanamento e imputava ai tagli del governo le falle del sistema, e De Luca che invece addossava tutte le responsabilità all’amministrazione Caldoro.
Difficile dire chi ha vinto: di sicuro si sono delineati con chiarezza alcuni stili comunicativi. Ciarambino parlava a manetta, sciorinando indiscutibili certezze; Caldoro tirava fuori cartelli e dati ad ogni risposta, e cercava di ribadire così la sua immagine di affidabile uomo delle istituzioni; Marco Esposito, col pullover colorato, sceglievalo stile più informale, e soprattutto insisteva più di ogni altro sull’identità meridionalista della lista; Vozza aveva l’aria un po’ demodé, ma che voleva anche essere rassicurante, della sinistra tradizionale; De Luca si è tenuto invece parecchio lontano dal cliché del sindaco sceriffo, e molto lontano anche dalla imitazione che gli ha regalato Crozza: solo alla fine, sull’ultimo gong, ha sfoderato il suo piglio decisionista.
Poi il conduttore si è preso la libertà di chiedere a Caldoro e De Luca, che nella scenografia dello studio si sono trovati dalla stessa parte, di guardarsi una buona volta. E i due si sono voltati. Fino a quel momento, non si erano rivolti un solo sguardo. Nulla di personale, ovviamente: ma non v’è dubbio che i due erano i più ingessati, forse perché sono entrambi quelli che più hanno da perdere dalla sfida. Per entrambi si tratta di una partita decisiva: o la polvere o gli altari. Per De Luca è l’ultimo assalto ad un palcoscenico diverso da quello locale, e probabilmente morde il freno per gli ostacoli che gli sono stati buttati nel corso di questa campagna elettorale, dalla legge Severino all’intervista a Saviano. Che qualcosa non gli sia andata per il verso giusto lo dimostra anche il fatto che la Ciarambino, che pure guida una lista anti-sistema, ha polemizzato molto più con lui che con Caldoro. Quanto a quest’ultimo, governatore in carica, è l’ultimo punto di coagulo del centrodestra nel Mezzogiorno: sa bene che senza un risultato positivo il processo di frantumazione proseguirà, e sarà molto difficile immaginarsi, nel breve periodo, linee di ricostruzione di una proposta politica.
Poi sono venuti gli appelli finali. Chissà a cosa servono. Chissà se esiste un elettore al mondo che cambia al voto sulla base delle poche parole che i candidati rivolgono agli elettori in quei pochi secondi finali. Quelli di Sky ci hanno provato in realtà due volte: la prima, quando hanno chiesto a tutti i candidati di rivolgersi a Gomorra senza abbassare lo sguardo; la seconda, appunto, con gli appelli finali. Ma se è lecito interrompere la cronaca, la battuta più felice l’ha avuta, con gli occhi alla telecamera, Marco Esposito, che citando Luciano De Crescenzo, in “Così parlò Bellavista”, ha detto quello che tutti pensiamo dei camorristi: che fanno una vita di merda. È pure ora, però, che i cittadini campani facciano una vita migliore.
(Il Mattino, 18 maggio 2015)