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Hai voglia a recuperare

etica e politica

Cristiano e la Bibbia

Sembra una scena biblica. O forse la sua caricatura. Sta scritto infatti: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Agli uomini che volevano costruire la città e farsi un nome non andò bene, tuttavia. Il Signore scese a vedere la città e la torre di Babele (che come opera pubblica non doveva essere trascurabile), e per ostacolare il progetto confuse le lingue. Niente nome, niente città. Il nome e la città, cioè la politica, andavano dunque di pari passo tra gli uomini, prima che il Signore, il quale non doveva avere particolari difficoltà ad intercettarli, mescolasse le carte in tavola. E così, confuse le lingue, inflazionato il linguaggio, pluralizzate le idee, invece di raccogliersi sotto un unico nome gli uomini si promisero di trovare il modo di comporre i loro conflitti di opinioni nella democrazia che verrà.
Tra le molte chiavi di interpretazioni della vicenda di Cristiano Di Pietro, beccato al telefono mentre chiedeva qualche favore al provveditore alle opere pubbliche Mauro Mautone, non era stata ancora suggerita in termini espliciti quella teologica (o para-teologica). Eppure è chiaro, e non solo per il nome di battesimo del suo involontario protagonista, che è in una logica sacrificale che si muove ormai l’intera faccenda. Con gli uni pronti a dire che non è abbastanza (non è mai abbastanza), che non bastano le dimissioni per salvare casa e bottega, cioè il cognome che porta e il partito in cui milita (la stessa cosa o quasi), e gli altri che invece elogiano Cristiano, pronto ad immolarsi ben al di là delle proprie colpe, per esaltare in realtà la figura specchiata del padre-segretario di partito, al cui impietoso giudizio reso in pubblico e alla cui immagine di campione della moralità Cristiano non ha potuto non sacrificarsi.
Ma è la faccenda del nome (e del cognome) quella che si rivela più istruttiva, almeno secondo la Bibbia. Farsi un nome è infatti la più grande impresa umana. Farsi un nome significa sfidare il tempo, diventare immortali, costruire un edificio che si veda da ogni angolo della terra e che rimanga per sempre. Ma la complicazione introdotta da Dio è tale per cui, nella babele delle lingue, l’impresa non può essere compiuta nel nome di uno solo (il solo che sia l’Unico è appunto il Signore Dio, che proprio perciò pensò bene di gettare gli uomini in confusione). Dopo la torre, gli uomini non hanno smesso di costruire città, ma non è mai riuscito loro, neppure edificando Imperi millenari, di ridurre l’infinità complessità delle vicende umane, i sogni e i bisogni di ciascuno al desiderio di immortalità di uno solo. Fare politica è perciò, da Babele in poi, ordinare la pluralità e la diversità senza ridurle ad unum.
Perciò colpisce, dopo questo ingombrante prologo in cielo, imbattersi negli stessi cognomi quando si tratta della cosa pubblica: è un tradimento della politica. Partiti personali, e personale politico che milita sotto le stesse insegne portando lo stesso cognome: non è il massimo della maturità politica. Soprattutto in democrazia, cioè in quella straordinaria creazione politica resa possibile solo ed esclusivamente dal rifiuto di qualunque subordinazione naturale tra gli uomini, e quindi anche dalla rigorosa separazione dell’autorità familiare da quella politica. C’è politica e c’è democrazia perché gli uomini non sono affatto un’unica grande famiglia: altrimenti, non avremmo che da trovare il buon padre di tutti noi.
Come si vede, nella disavventura del giovane Di Pietro la morale personale non c’entra nulla, così come nulla c’entra l’inesistente rilevanza giudiziaria degli episodi riportati dalle cronache (il che, sia detto tra parentesi, costringe però a chiedersi come funziona la lotteria delle intercettazioni, e soprattutto quali siano ogni volta le ragioni per cui divengono pubbliche).
Se non c’entra la morale, c’entra però l’etica nel senso antico della parola: c’entra cioè il carattere. E qual è il carattere di questi figli, che si mettono a far politica sotto l’egida paterna? Un tempo le generazioni dei figli si facevano le ossa contestando quelle dei padri. Avevano il loro parricidio da compiere, e non prendevano certo per oro colato tutto quello che il padre dicesse loro (o peggio dicesse di loro). Oggi è il contrario: si seguono le orme paterne anche quando si è ben dentro l’età adulta, e si rinuncia a diventare adulti pur di non dispiacere a papà.
Non è questione solo di Cristiano, ovviamente: i giornali sono pieni di rampolli che, sventolando il rinnovamento generazionale, cercano di farsi largo, ben scortati dal nome che portano. Non se ne trova uno che militi dall’altra parte della barricata: eppure un tempo i figli le alzavano, le barricate. Ma se è vero, come diceva Kelsen, che almeno in linea di principio democrazia significa assenza di capi, come non pensare che non può proprio voler dire presenza di padri?

Rivoluzione etica

"[…] Da lunedì 9 gennaio inizio i corsi, e difficilmente riuscirò a tenere regolarmente aggiornato il mio blog. Ancor più difficile mi pare dunque la partecipazione a blog collettivi. Non so peraltro come Rivoluzione etica, appena nato, evolverà e chi vi parteciperà. Ho letto il post di esordio, e posso dire fin d’ora che il blog ha tutta la mia simpatia, anche se dalle premesse teoretiche alle conseguenze politiche io non procederei altrettanto speditamente (ma so peraltro che Sini, che credo sia caro ad entrambi, avrebbe qualcosa da ridire sul fatto che io la metta qui così, anche solo per brevità, in termini di premesse e conseguenze). Diciamo allora che aspetto metà marzo, quando avrò terminato i corsi, e mi saprò fare un’idea migliore. Che ne dici? E’ possibile?
Intanto, ti linko e, se non hai niente in contrario, dò anche visibilità alla cosa, per quanto mi è possibile, con un post".

"Caro Massimo,
ti ringrazio per la risposta e in bocca al lupo per i tuoi corsi. A proposito di Teoretica e Politica, noi siamo dell’idea che ogni gesto teoretico sia sempre implicitamente un gesto politico (si, suona molto anni ’60, lo so, ma, al di là degli slogan credo che tu abbia capito). Beh, se ci dedichi un post, ne saremo più che felici. […]".

"[…] Sì, vedo bene che ogni gesto teoretico è un gesto politico. Se, con le prudenze che hai letto, mettevo una differenza, è perché a rendere esplicito ciò che è lì implicito succedono un sacco di cose: una rivoluzione etica, diresti tu. E invece io inciampo: sull’etica, ma ancor più sulla rivoluzione!".

Punto

Ma la secolarizzazione: a che punto siamo? A buon punto, a un punto di non ritorno, a un punto morto, a un punto fermo? Ora ve lo dico con precisione:
siamo a 1,740 (al 2001).
Si trova in rete il primo rapporto sulla laicità in Italia (pdf) curato dalla rivista Critica liberale, con un accurata misurazione statistica del processo di secolarizzazione della società italiana, fondato su un ben articolato sistema di indicatori (il numero che ho riportato è ovviamente comprensibile solo all’interno di tale sistema).
Ma il fascicolo contiene anche un intervento di Carlo Augusto Viano, etica laica ed etica cattolica.
Del quale non si capisce il titolo: che ci fa nel titolo la d eufonica, visto che di eufonico Viano non trova nulla? E anzi comincia col dire che, ben lungi dal rafforzarlo, la religione indebolisce il comportamento morale. Io, per me, accolgo l’interpretazione più morbida: religione e morale non sono la stessa cosa e possono entrare in conflitto.
Dopodiché, non mi dispiace affatto la formulazione conclusiva della morale laica di Viano: “Autonomia delle persone, disobbedienza alle autorità religiose, ricerca del libero accordo tra individui e uso di considerazioni sottoponibili al pubblico controllo sono i requisiti fondamentali di un’etica laica”. Mi dispiace invece che Viano mostri di considerare teologia e filosofia (leggi: metafisica) solo come pesanti bardature di cui liberarsi. (Tra l’altro: come se teologia e filosofia fossero la stessa cosa). Eppure, quando dà una prima formulazione della morale laica, frutto esclusivo di scelte individuali, aggiunge prudente che pone “notevoli problemi teorici”. Un’etica laica totalmente individualistica è “teoricamente problematica”. Un filosofo, quando incontra un problema teorico, ci si ferma un po’ su. Viano, no. Non a quel punto.

Alluvione alluvione alluvione, e infine diluvio

1. Alluvione. Dieci tele: due Caravaggio, due Raffaello, un Van Gogh, due Bacon, un Picasso, un Rothko, un dipinto a olio del marito della preside. Sul canotto dei vigili del fuoco, c’è spazio solo per nove tele. Che si fa? Si vota democraticamente quale tela lasciare alla furia delle acque?
2. Alluvione. Dieci persone. Dieci europei cattolici maschi eterosessuali. Sul canotto dei vigili del fuoco, c’è spazio solo per nove persone. Che si fa? Si vota democraticamente chi lasciare alla furia delle acque?
3. Alluvione. Dieci persone. Dieci europei cattolici maschi eterosessuali. Sul canotto dei vigili del fuoco, c’è spazio solo per nove persone. Che si fa? Si vota democraticamente il criterio in base al quale decidere chi lasciare alla furia delle acque?

4. Alluvione. Dieci persone. Nove europei cattolici maschi eterosessuali, e un omosessuale ateo di origine ebraica, analfabeta e con handicap. Sul canotto dei vigili del fuoco, c’è spazio solo per nove persone. Che si fa? Si vota democraticamente chi lasciare alla furia delle acque? Si vota il criterio?

(5. Diluvio universale. Sull’Arca ci possono andare in dieci. Ne salviamo dieci uguali, così salviamo un’identità, o dieci diversi, così salviamo una speranza?)
 
(a proposito del post qui sotto)

Servizio pubblico/1

Il capodivisione Tuzzi pubblica il programma del convegno: Abitudine e altruismo tra etica, biologia e neuroscienze. Temo che l’etica, fra biologia e neuroscienze, stia un po’ strettina, o che ce la si voglia infilare a forza, ma tant’è: questa è la corrispondenza d’amorosi sensi fra Cassino e Trieste.

La filosofia: cos'è.

Le filosofie speciali sono sette: della scienza, della religione, del diritto, della politica, del linguaggio, della storia. E l’antropologia filosofica

Le scienze con cui la filosofia intrattiene rapporti sono: matematica, fisica, biologia, linguistica, informatica, scienze sociali, psicologia, teologia, storiografia, storia della filosofia, storia della scienza.

Le discipline filosofiche sono cinque: metafisica, teoria della conoscenza, logica, etica, estetica.

Gli stili e i modelli teorici della filosofia nel ‘900 sono stati sedici. Sono un po’ troppi, non ve li enumero tutti

(La filosofia, a cura di Paolo Rossi, UTET, Torino 1995)

Ethica

"Vorrei ricordare che non è l’etica a fare la letteratura", scrive Luca Doninelli in questo bell’articolo apparso su Il Giornale. E ha perfettamente ragione: "la storia letteraria, artistica e del pensiero è […] piena di portaborse che hanno prodotto opere immortali, mentre di tanti uomini virtuosi e incorruttibili, alieni da ogni conciliazione, non è rimasta traccia".

Ora però aggiungerei pure questo: che come l’etica non fa la letteratura, così non fa l’arte in genere. Ma neppure fa la storia, la matematica o la politica: ma allora che diavolo fa, l’etica? Uno potrebbe dire: l’etica fa l’uomo. E sia. Ma per fare un uomo, non sarebbero necessarie anche tutte le cose che l’etica non fa (la letteratura, la matematica, la politica, ecc. ecc.)? E allora? E se invece qui è proprio l’idea di etica che andrebbe riveduta profondamente, poiché non se ne può più di un’etica ridotta a catechismo delle virtù (e di solito, di un certo genere di pallide virtù)? E se invece è proprio questa idea di etica che è conciliativa da cima a fondo, letteralmente inzuppata di ogni possibile conciliazione?

(Abbiate pazienza, ma ho sul tavolo l’Ethica di Spinoza)