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Tsipras, i puri si epurano prima di iniziare

Immagine«Beh, sarebbe ipocrita negare che ci sono stati un po’ di casini», dice il giornalista Alessandro Gilioli, uno di quelli che la lista l’Altra Europa con Tsipras ha contribuito a metterla su . Nessuna ipocrisia: la lista non ha bisogno di nascondere i casini combinati. Ultimo in ordine di tempo è il rifiuto di Antonia Battaglia, ambientalista tarantina, di stare in lista con esponenti di Sel, il partito del governatore Vendola, che a giudizio della Battaglia non è affatto esente da gravi responsabilità nella gestione del caso Ilva. O Sel o io, ha detto la Battaglia, e in lista ovviamente sono rimasti gli esponenti di Sel, mentre lei ha ritirato la sua disponibilità.

Ora però, più che il merito di questa vicenda – che tutto sommato può ricondursi al vecchio adagio per cui c’è sempre un puro più puro che ti epura – è la giustificazione ai casini combinati che desta un qualche sconcerto. Gilioli la mette così: «tutta questa avventura della lista Tsipras è iniziata poco prima di Natale con un po’ di telefonate, qualche mail, i primi incontri di persona: non c’era alcuna organizzazione pregressa, né alcuna regola stabilita». Si badi bene: non si tratta di cucina destrutturata, e dell’abbattimento delle barriere tra il mondo dolce e il mondo salato, bensì della presentazione di una lista alle prossime elezioni politiche del Parlamento europeo. Una roba che di solito la fanno i partiti, e che invece viene affrontata con baldanzoso spirito donchisciottesco. Dal momento che i partiti sono ormai per tutti brutti sporchi e cattivi, cosa c’è di meglio di spiriti liberi, cavalieri della vera fede europeista strappati alle loro inesauste battaglie civili, alle loro irreprensibili testimonianze morali, alla loro inflessibile indignazione, finalmente in lista insieme per il bene comune?

Qualcosa di meglio ci sarebbe e c’è: gli stessi spiriti liberi, uniti però da una comune frequentazione (stessi gusti, stesse letture, stesse amicizie), in una compagnia di giro che ad ogni appuntamento elettorale da un bel po’ di anni – ad occhio e croce:  da quando Eugenio Scalfari s’inventò il mito del «partito che non c’è» -prova coraggiosamente ad esserci. E forse ci prova non già per conseguire l’elezione in Parlamento – un’altra, generosa dimostrazione di disinteresse -, ma solo per fare la morale alla sinistra: quella che dopo tutto c’è ancora e che questi spiriti liberi non potranno riuscire a farsi piacere mai.

E si capisce perché: se poter confidare soltanto su qualche mail viene esibito come un titolo di merito, o come una prova di autenticità, o infine come una dimostrazione di purezza (per la quale però vedi l’adagio citato sopra), come si potrà mai accettare la bassa cucina tradizionale con cui un partito, una qualunque organizzazione complessa, è costretta a servire la pietanza indigeribile delle liste?

Ovviamente i ferventi sostenitori italiani della lista Tsipras non mancano di farsi coraggio sbandierando il risultato che il leader greco vanta nel suo paese, dove la formazione politica da lui guidata veleggia sopra il 30 per cento. Uno pensa: a parte tutte le differenze, ma un minimo di consapevolezza del fatto che in Grecia Tsipras non guida il suo partito con pochi incontri fra vecchi amici alla vigilia di Natale questi qua ce l’hanno, o pensano davvero che basta mettere qualche testimonial importante, disposto a candidarsi «per spirito di servizio», per raggiungere quelle percentuali e, in genere, per fare politica? Forse no, se si può arrivare a sfidare il buon senso domandando addirittura al futuro elettore se sia consapevole di cosa significa licenziare le liste chiudendo in una stessa stanza «sei garanti di sinistra». Deve essere stata effettivamente molto dura, se infatti un paio di essi, Camilleri e Flores d’Arcais, proprio non ce l’hanno fatta e si sono subito dimessi. Nessuno può cedere sui propri principi, devono essersi detti, avendo visto i casini combinati con il caso Battaglia: e poiché sarebbe davvero troppo citare il più cinico e immorale Togliatti – quello che «Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato» – domandiamoci almeno: ma che razza di principi sono quelli che non principiano mai alcunché, e procurano immancabilmente un’impressione di infantilismo politico?

(Il Mattino, 12 marzo 2014)

Un carico da undici per giocatori di briscola

Su la Repubblica di oggi, c’è la replica di Habermas a un saggio dell’esimio collega Paolo Flores d’Arcais, dal titolo Le tentazioni della fede. Undici tesi contro Habermas, che apparirà il prossimo sette dicembre su Micromega. Il saggio di Flores è stato parzialmente tradotto e pubblicato da die Zeit, dove compare anche la replica di Habermas tradotta oggi da Repubblica.

Ora, sarebbe molto bello distribuire torti e ragioni. Non avendo però letto le tesi di Flores, sarebbe veramente scorretto lanciarsi in commenti di qualunque natura. Sta però il fatto che la polemica di Flores fa seguito all’intervento pubblico di Habermas a Roma, di poche settimane fa, e che la replica odierna consiste nientepopodimeno che nella mera autocitazione di un paio di passi di quell’intervento all’Eliseo.

Habermas non spreca una parola per nuovamente argomentare. Invita Flores a rileggerlo. E mi getta nell’atroce dubbio che il carico da undici di Flores sia perfettamente inutile. Sicuramente lo è agli occhi di Habermas, e chi sono io per?