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De Luca e la trappola del fuori onda

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Ennesimo fuori onda, ennesime polemiche. Il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, chiede a gran voce al neoquestore di smentire le parole che Vincenzo De Luca ha pronunciato in via confidenziale, riferendo nel corso di un incontro al deputato del Pd, Leonardo Impegno, un giudizio che il neo-questore di Napoli, De Iesu, avrebbe pronunciato in via privata: la città è peggiorata, De Magistris ha governato come un pazzo.

Ora, seguitemi: se Tizio dice che Caio pensa peste e corna di Sempronio, non è che Sempronio sia tenuto a smentire quel che Caio va dicendo in giro. Anche perché la smentita di Sempronio potrebbe suonare non semplicemente come una smentita, ma come un (involontario) apprezzamento. «Io non ho mai detto peste e corna di Sempronio» significa, per chiunque lo ascolti, che di Sempronio penso bene: e perché mai Caio dovrebbe dare a intendere una cosa del genere?

Il questore ci ha pensato un po’, poi ha smentito comunque, penso per amor di concordia e senso delle istituzioni: ha detto che nel corso dell’incontro con De Luca non ha «evidenziato considerazioni negative» sulla gestione comunale. Domanda: e se invece avesse detto di non avere evidenziato «considerazioni negative, ma neppure positive»? Sarebbe suonata come una specie di indiretta conferma, al di là della lettera ufficiale?

Forse. E, senza forse, sarebbe molto meglio se De Luca non incorresse in nuove gaffe.

Ma si è trattata veramente di una gaffe, o non piuttosto dovremmo parlare di una sorte di intercettazione non autorizzata? Certo, De Luca dovrebbe avere imparato come funzionano le cose, nella democrazia del fuori onda. Dove può succedere che registrino le tue parole anche dopo che ti hanno assicurato che stai parlando «off record»; o che ti piazzino un microfono nei tuoi paraggi senza che tu te ne accorga; o ancora che ti telefonino sotto falso nome e camuffando la voce ti strappino dichiarazioni con l’inganno. A De Luca è già capitato di incorrere in simili infortuni, e poiché non fa quasi mai uso di lievi ed alate parole le sue frasi fanno ancora più rumore.

Ma resta il fatto che non di annunci fatti alla stampa si è trattato, ma di parole che il governatore stava usando in via del tutto riservata, con un compagno di partito, per chiedere un’opposizione senza sconti all’Amministrazione De Magistris. Certo, il governatore parlava in un luogo pubblico, ma cosa vuol dire? Se ad esempio io tengo un comizio e parlo da un megafono, e ad un certo punto scosto il megafono per rivolgermi a bassa voce a una persona che è sul palco con me – poniamo: per farle un complimento galante – è giusto dire che le ho fatto pubblicamente un complimento? Nessuno lo direbbe. Eppure, se quelle parole fossero carpite da qualche potente microfono piazzato lì sul palco, diverrebbero immediatamente di dominio pubblico, e la loro diffusione sarebbe giustificata proprio dal fatto che sono state rese in un luogo pubblico.

A De Luca si può dunque dire di metterci un di più di attenzione, quando si trova in circostanze come quella di ieri: prima di un incontro pubblico, con telecamere, giornalisti e microfoni in giro. Ma un po’ più di attenzione dovremmo mettercela tutti, perché non è un bel vivere quello in cui saltano le distanze e le separazioni fra la sfera pubblica e la sfera privata, fra pubblicità e riservatezza, fra dichiarazioni e confidenze. Il nostro tempo è segnato da una continua erosione della privacy, da una incessante captazione di dati personali, da una costante pressione a rovesciare in pubblico tutto quello che un tempo si svolgeva in privato: tra mura domestiche, in circoli ristretti, fra pochi amici. Non c’è quasi più nulla che garantisca non dico segretezza, ma almeno discrezione. Gli algoritmi che spazzano la rete sono in grado di tracciare il nostro profilo individuale forse meglio di quanto noi stessi sapremmo fare, sul nostro conto; sui social media finisce tutto, dalla culla alla tomba (ecco che fine ha fatto il welfare State!); «amico> è ormai parola che non indica più nulla di intimo, ma solo il raggio delle possibili condivisioni online. E naturalmente la gogna mediatica funziona a pieno regime. In queste condizioni, provare a tirare una linea fra quello che appartiene al discorso pubblico e quello che invece può, o deve, rimanerne fuori è un’impresa disperata. Ma c’è un’altra conseguenza a cui badare. Perché il crollo delle pareti fra l’ambito pubblico e l’ambito privato comporta anche una distorsione dell’agenda pubblica. Cambia la gerarchia degli argomenti di cui si discute, e si mescolano le notizie che andavano prima su pagine e media ben distinti. De Luca stava dicendo, e avrebbe poi ripetuto a voce alta che la linea del Pd a Napoli non può avere incertezze e condiscendenze verso le uscite alla Masaniello, i neoborbonismi e le pulcinellate. Tutti capiscono cosa pensi e a chi si riferisca: non c’era bisogno di alcun fuori onda per cogliere la sostanza del giudizio politico. Ma l’ennesima indiscrezione involontaria ha messo tutto questo in secondo piano, e sulla ribalta c’è finita, ancora una volta, la coda lunga delle polemiche, delle smentite, delle proteste.

(Il Mattino, 31 marzo 2017)

La democrazia del fuori onda

maxresdefaultLe parole di De Luca, a proposito della lista degli impresentabili stilata dalla Presidente della Commissione Antimafia Rosi Bindi – «quella è stata una cosa infame, da ucciderla» – sono appena una tacca al di sopra del livello che l’eloquio del governatore raggiunge, nell’imitazione che ne fa spesso Maurizio Crozza. Sono un’enormità, sono letteralmente indifendibili. E infatti De Luca non le ha difese, ma ha denunciato il comportamento del giornalista, che avrebbe prima chiuso l’intervista e poi stuzzicato la vanità del governatore. Che ridendo di gusto alle provocazioni di un altro che va volentieri sopra le righe, Vittorio Sgarbi, se ne è uscito con quell’espressione veramente infelice.

Ora si contrappongono due versioni: quella di De Luca, che accusa il giornalista di avere scorrettamente raccolto le sue parole in libertà; e quelle del giornalista, per cui invece tutto è andato nel più corretto e professionale dei modi. A guardare il video, in verità, si comprende abbastanza chiaramente che si tratta di un fuori onda. Di una trappola, di quelle che i giornalisti tendono per far «cantare» qualcuno. Del resto, De Luca si lascia andare anche ad un’altra coloritissima espressione, a proposito dei gesti apotropaici che esegue quando Salvini compare in tv: come non ravvisarvi una conferma di quanto poco De Luca pensasse, in quel momento, di essere ripreso?

È evidente quel che è accaduto: De Luca pensava di parlare in privato e invece ora le sue parole sono pubbliche; lui pensava di poter esprimersi in tono confidenziale, e invece il suo interlocutore stava ancora lì, con microfoni e telecamere, nell’esercizio della professione; lui pensava di potersela ridere e invece il giornalista faceva sul serio; lui credeva di poter usare un’iperbole e invece le sue parole, del tutto fuori contesto, vengono ora commentate come se andassero prese alla lettera. Ne è seguita una giornata intera di dichiarazioni, richiese di scuse, espressioni di solidarietà, precisazioni, giustificazioni, prese di distanza.

E commenti, in cui l’indice è ovviamente puntato contro le sparate di De Luca. Il quale in molte occasioni se le cerca. È lui che affibbia nomignoli e soprannomi, fa le caricature degli avversari politici, chiama gli uni mezze pippe e gli altri pinguini: la delucheide è ormai un genere letterario che ha i suoi cultori, i suoi estimatori e i suoi detrattori. È un pezzo della sua popolarità, quella che gli procura l’onore di essere tra le imitazioni meglio riuscite di Crozza. D’altra parte, il giornalista non intervistava De Luca sul tema del «politicamente scorretto», di cui lui sarebbe, in Italia, il campione, come in America lo è Trump? E lui non si è prestato con qualche compiacimento al paragone, salvo ironizzare pure sul parrucchino, o forse sul «nido di cinciallegra» che il presidente americano avrebbe al posto dei capelli? A onor del vero, le esuberanze linguistiche non toccano di regola, nel caso di De Luca, i temi sensibili dei diritti e delle minoranze, ma gli avversari politici, e questa fa una qualche differenza.

Ma in gioco ci sono anche altre differenze. Un conto è parlare in via ufficiale, un’altra è parlare off the record. Un conto è sapere che le parole saranno riferite, un altro è ignorarlo, o magari essere esplicitamente o implicitamente essere rassicurati del contrario. Un conto è parlare dopo il primo ciak e prima dell’ultimo, un conto è essere inseguiti da microfoni e telecamere anche quando se ne vorrebbe essere liberati.

Come molte altre distinzioni, anche queste tendono a cadere, insieme a molte altre che dovrebbero regolare i rapporti fra sfera pubblica e sfera privata, ma anche tra politica e giornalismo. Si dice: ai politici piacerebbe che i giornalisti se ne stessero buoni dietro robuste transenne, alle quali benevolmente avvicinarsi come e quando aggrada per dare sempre solo la “versione ufficiale”. E invece il giornalista deve mettere il naso dappertutto, deve fare il cane da guardia del potere: «con forza, vigore e senza impedimenti» diceva Benjamin Franklin, dimenticandosi forse di aggiungere l’astuzia.

E tuttavia non è così che stanno ormai le cose. Perché, da una parte, sono sempre più i politici a cercare le telecamere, come le falene la luce (e a volte, immancabilmente, si bruciano), e perché, dall’altra parte, non è affatto il fuori onda, non sono le parole dal sen fuggite il vero retrobottega della politica, dove scovare le sue inconfessabili verità, ma solo la continuazione dello spettacolo con altri mezzi.

Poco male? Non proprio. In gioco non ci sono le imitazioni di un politico da condividere, e neppure le violenze verbali da condannare. C’è proprio il fuori onda, cioè quello spazio della vita che si tiene fuori dal proscenio, e che è, per tutti, uno spazio di libertà. Lì De Luca si lascia andare a espressioni poco riguardose e ciascuno di noi, ammettiamolo senza ipocrisie, ne dice di tutti i colori. Bonificare quello spazio con la luce potente dei riflettori non uccide solo lo sporco, toglie di mezzo pure noi stessi, i nostri piccoli segreti e le nostre grandi fragilità.

(Il Mattino, 18 novembre 2016)