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Facit indignatio versum

Decimo Giunio Giovenale: la storia la si può far cominciare da lui. D’accordo, è prenderla un po’ alla lontana, poco meno di un paio di millenni, ma forse serve per guardare sotto l’ondata di indignazione che ha investito l’Occidente. Dopo la primavera araba, dagli Indignados di Puerta del Sol a quelli di Occupy Wall Street, passando per le manifestazioni di Roma o di Parigi, un po’ ovunque si è riversata in strada la sacrosanta protesta contro le ingiustizie e le diseguaglianze sociali, spesso mescolata con un’aspra critica, dai tratti populistici, dei privilegi della casta dei politici o delle oscure trame degli gnomi della finanza. L’indignazione infatti è questa roba qua: l’invettiva a sfondo prevalentemente morale come arma di mobilitazione e critica del potere. Indignato è colui il quale, prima ancora di dedicarsi all’analisi complessa delle cause e delle condizioni, si solleva contro lo scandalo dell’ingiustizia. E fa bene, almeno secondo Aristotele, che collocava lo sdegno nel giusto mezzo fra la nera malevolenza di colui il quale gode delle disgrazie altrui, e la gialla invidia di chi soffre per la fortuna che arride agli altri. L’indignato si addolora sì per il successo altrui, ma solo quando è ingiusto, quando non vi è ombra di merito. Il che è un bene, perché dimostra che la coscienza morale non è ancora del tutto anestetizzata.

La coscienza morale: ma la coscienza politica? Per quello conviene dare un’occhiata ai temi che sollevavano lo sdegno del primo campione dell’indignazione, Giovenale appunto, uno che di sé diceva di non avere particolare genio artistico e letterario, ma solo tanta rabbia. Si natura negat, facit indignatio versum. Che grosso modo vuol dire: anche se non ho un talento naturale, sono così incazzato che non posso non scrivere. E di cosa scriveva, Giovenale? Più o meno: di Roma ladrona, dei favoritismi e dei parassitismi dell’amministrazione pubblica, dei privilegi degli uomini vicini al potere, della cortigianeria e dell’insincerità. Fin qui tutto bene. Sono di quelle descrizioni per cui uno dice: niente di nuovo sotto il sole! Ma insieme a questi temi si legge nelle Satirae anche l’elogio del buon tempo antico, il rimpianto per la sana vita di provincia, l’insofferenza nei confronti degli immigrati e l’invettiva contro il lassismo morale, nutrita di misoginia e omofobia.
Tirando le somme: un impasto di sensibilità civile e di forte conservatorismo. Il che spiega benissimo come possa accadere ancora oggi che giornalisti con pedigree autorevolissimi, ma inequivocabilmente di destra,  diventino paladini dell’opinione pubblica progressista. E soprattutto, aiuta a porre l’antica domanda: ma indignarsi è di destra o di sinistra?

Collocando la doccia a sinistra e il bagno caldo a destra, la Nutella a sinistra e il cioccolato svizzero a destra, Giorgio Gaber ha quasi ridicolizzato la domanda. E siccome per molti, compresi molti indignati, questa domanda non ha più motivo d’essere, possiamo pure metterla (provvisoriamente) da parte. Non possiamo però rinunciare a capire. O almeno a chiedere se le categorie morali che l’indignazione brandisce, la distinzione fra bene e male, fra ladri e onesti, permetta davvero di descrivere i conflitti reali che attraversano le società occidentali, e la società italiana in particolare: nel mondo del lavoro, nel rapporto tra cittadini e istituzioni, nella sfera dell’istruzione e della formazione, e così via. Se si trattasse di bene e male, basterebbe eliminare il secondo per tenersi il primo: ma sono operazioni che riescono solo sulla carta (o in uno slogan). Nella realtà, le cose sono maledettamente più complicate.

Ora, l’indignazione targata 2011 ha preso di mira, in particolare, la finanziarizzazione dell’economia: di qui le manifestazioni davanti a Palazzo Koch o a Wall Street. E come non indignarsi per l’enorme quantità di zeri che accompagna le transazioni finanziarie, spesso al riparo da ogni forma seria di controllo e di tassazione? Proprio però uno dei guru del movimento, il filosofo sloveno Slavoj Zizek, ha spiegato che pensare di separare con un tratto di penna l’economia reale buona dalla economia finanziaria cattiva è una pia illusione. In fondo, la finanziarizzazione incomincia con l’invenzione della carta moneta: c’è qualcuno che sogna di eliminare il denaro? Zizek, lui, vuol far la rivoluzione, ed il suo è un invito a rammentare che, per Marx, pure l’economia reale sta sotto il segno dello sfruttamento capitalistico. Ma tra la rivoluzione che abolirebbe il capitale e l’indignazione che abolirebbe le banche forse va trovato il modo ed il terreno per  costruire una seria via di riforme. e soggetti politici che ne sostengano il cammino. Non per mollezza o condiscendenza, ma anzi per mettere un po’ di contenuto civile nella risposta che Marziale diede allo sdegnato amico Giovenale: Sic me vivere, sic me iuvat morire “Così mi piace vivere, e così voglio morire”.

L’unità, 31 dicembre 2011 (col titolo Gli indignati. Quella rabbia abti-potenti che inizia con Giovenale)

Dalla A alla Z. Le parole della rivolta globale

È  possibile compilare un alfabeto dell’indignazione? Noi ci proviamo, anche se non è facile riassumere in ventitre parole le tante facce della protesta.

Acampada. Da Gerusalemme a Roma a New York, le tende  in piazza sono il simbolo della precarietà (ma anche dell’ostinazione) dei giovani manifestanti.

Beni comuni. La nuova frontiera della lotta per un’economia più giusta passa per la difesa dei beni collettivi: come l’acqua o la conoscenza, il software libero e la scuola come diritto fondamentale.

Chomsky, Noam. La Cassandra della filosofia contemporanea, critico feroce del capitalismo yankee, è fin dall’inizio a fianco della protesta contro gli gnomi di Wall Street.

Default, ovvero fallimento. Ma anche D come debiti sovrani: quelli che gli Stati debbono pagare, ma anche quelli che le nuove generazioni si rifiutano di sobbarcarsi, imputandoli (con molta approssimazione) ai padri, alle classi dirigenti, all’1% della popolazione.

Elio Germano. Uno degli attori italiani fra i più amati dai giovani, ha messo il suo volto e il suo nome (e anche un paio di citazioni hegeliane fuori posto) a fianco dei manifestanti italiani.

Forchette rotte. Sono il simbolo degli indignados siciliani. Vogliono dire che col futuro non deve mangiarci più nessuno, spiegano, e confermano così che il vero sogno di ogni rivoluzionario è sempre la fantasia al potere.

Genova. Ad ogni manifestazione di piazza torna la memoria dei fatti di Genova. Il timore di disordini, ma anche la paura di una repressione insensata. Per alcuni, Genova ’01 è addirittura la forma più compiuta e lugubre della politica contempoanea, asserragliata nella difesa dei propri privilegi.

Hashtag. È il cancelletto sulla tastiera dei PC, usato per marcare una parola e consentire di ritrovarne tutte le occorrenze in rete. Il mezzo più veloce per linkare e citare su Twitter.

Indignados. La nuova ondata di proteste è partita dalla Spagna e la parola ha preso il volo: sono indignados anche israeliani e greci, francesi e italiani. Per una volta, lo spagnolo l’ha spuntata sull’inglese: sta davvero cambiando il mondo?

Juventud. La protesta ha un forte tratto generazionale. Un tempo erano studenti. adesso sono giovani. Non è più la posizione sociale o di classe, ma la questione generazionale a fare la differenza.

Koch, Palazzo. È la sede di Bankitalia. L’indignazione investe anzitutto la finanziarizzazione dell’economia, un modello di capitalismo fatto di salvataggi bancari e fallimenti imprenditoriali, ripianamento dei debiti e tanta disoccupazione giovanile.

Labbé, Christian. È il nome del sindaco di Providencia, Cile. Funzionario della polizia segreta, sospetto torturatore sotto Pinochet, Labbè sta perdendo i nervi perché non riesce a liberare le scuole della sua città. I carabineros le sgomberano e i ragazzi le rioccupano, divenendo così loro il simbolo della resistenza, lui dell’ottusità del potere.

Moltitudine. Il concetto coniato da Toni Negri. Quello che si muove non è un popolo ma sono moltitudini: difficile trovare un denominatore comune per ogni ‘causa’, difficile costruire egemonie; meglio elogiare allora la ricchezza plurale del molteplice (quanto all’unità, si vedrà).

No global. Che fine hanno fatto? Hanno cambiato nome (e logo)? In effetti, qualcuno deve essersi accosto che mettere sotto l’insegna del rifiuto della globalizzazione movimenti iper-globalizzati non era l’idea più brillante.

Occupy Wall Street. Lo slogan dei manifestanti che passeggiano davanti al tempio della finanza mondiale. Non è ancora un’adunata oceanica, ma crescono di numero, sono determinati e, come dice Krugman, hanno perfettamente ragione.

Puerta del Sol. La piazza di Madrid occupata da mesi, simbolo di tutte le piazze delle centinaia di città in queste settimane teatro di manifestazioni sempre più numerse.

Que no, que no queremos. Questi qui non sono Papa Boys. Quando Benedetto XVI è andato in Spagna lo hanno accolto così. C’entra sicuramente l’anticlericalismo della Spagna di Zapatero, ma pure la consapevolezza che i problemi sociali sono più pressanti di quelli valoriali.

Rivolta. Rivolta o rivoluzione? Qual è la R del movimento? Che sbocco avrà? O alla fine prevarrà la R che tutti i rivoluzionari temono, quella di riflusso?

Spinoza. Il filosofo olandese insegnava che l’indignazione è il sentimento in cui si muta il timore quando proprio non se ne può più. Il che però accade solo quando il sentimento dell’ingiustizia diviene generale: allora si vince la solitudine e si manifesta tutti insieme.

Tahrir. La piazza del Cairo che ha cacciato Hosni Mubarak. In maniera un po’ spericolata, gli indignados la mettono tra i propri luoghi simbolo. Quello di Mubarak era un regime autoritario, le nostre son democrazie, ma la differenza non viene sempre in primo piano.

United for Global Change. È il nome della manifestazione. Mette insieme la voglia di cambiamento e il carattere globale della rivendicazione. Vedremo oggi quanto imponente sarà.

V for Vendetta. Il brand del movimento. Anche la ribellione vuole la sua parte di spettacolo. Nel film. l’eroe ha il volto anonimo di una maschera, come anonimi sono i nuovi eroi contemporanei, gli hacker.

Zhengzhou. Capoluogo della provincia centrale cinese dell’Henan: lì anziani e giovani hanno manifestato in favore degli indignados americani e protestato contro il capitalismo. Forse, è una buona notizia