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Il Paese dove tutti i partiti perdono voti

Boetti

I dati messi a disposizione dall’Istituto Cattaneo non stravolgono le valutazioni immediatamente successive al voto di domenica, ma consentono di offrire analisi più accurate. L’Istituto avverte che il raffronto con le politiche del 2013 non è omogeneo, ma rimane il retroterra più sicuro per studiare l’evoluzione del comportamento elettorale. Soprattutto in relazione ai risultati del Movimento Cinquestelle, che aveva a sorpresa conquistato, tre anni fa, un quarto circa dell’elettorato. Alla domanda se quel risultato debba essere considerato un effimero exploit il Cattaneo risponde di no, dati alla mano. Perché l’analisi dei flussi elettorali, in entrata e in uscita, mostra che quella parte dell’elettorato si sta fidelizzando: chi ha votato M5S tre anni fa è tornato a farlo domenica scorsa. L’astensionismo, in crescita, tocca anche i grillini, ma il grosso di quegli elettori è rimasto fedele al Movimento: nonostante la tragica uscita di scena di Casaleggio e il relativo disimpegno di Grillo. Fa eccezione Napoli, dove sono consistenti i flussi elettorali in direzione di De Magistris. In vista del ballottaggio, il Sindaco di Napoli sembra perciò poter dormire fra due guanciali, visto il distacco da Lettieri e la relativa facilità con cui può attrarre la parte del voto grillino andata a Brambilla (mentre l’impresa di Lettieri, di motivare il voto democrat, appare obiettivamente più complicata).

C’è stato dunque un fenomeno di assestamento del M5S. Il calcolo sui voti validi dimostra però che, sia in termini assoluti sia in percentuale, i Cinquestelle hanno perso voti. E questo nonostante il trascinante successo di Virginia Raggi a Roma. Significa forse che il gran battage mediatico sulla candidata romana ha oscurato il dato reale, che nel complesso non è stato affatto clamoroso? In parte almeno è così. È evidente, infatti, che i Cinquestelle non hanno ancora una leva di candidati all’altezza: basti pensare a quanti pochi siano i casi di ballottaggio con un esponente pentastellato. E anche le performance deludenti di Napoli e Milano lo dimostrano. Ma è vero pure che, in un sistema che eredita il bipolarismo ventennale della seconda Repubblica, il destino di un partito che non esercita nessuna attrattiva coalizionale è quello del tutto o nulla. In questa prospettiva, Roma rimane ancora, per i Cinquestelle, la fiche posta sul tavolo per far saltare il banco, indipendentemente dai risultati a macchia di leopardo nelle restanti città capoluogo.

I dati del Cattaneo riservano però qualche sorpresa anche al centrodestra e al centrosinistra. E, si direbbe, non negativa. Entrambi i poli infatti realizzano un certo recupero rispetto alle politiche di tre anni fa. Dal report dell’Istituto non è chiarissimo cosa si intenda per centrosinistra o per centrodestra: e questa è anche un altro dei problemi che affliggono il nostro sistema politico: dove iniziano e dove finiscono i due schieramenti non lo si sa bene, e spesso non si sa neppure quale nome abbiano. Ad ogni modo, è indubbio che c’è ancora un voto polarizzato alla sinistra e alla destra del campo politico, e quel voto è, sia pure di poco, in crescita, almeno in termini percentuali. Il centrosinistra guadagna un punto, il centrodestra ben quattro. Questo significa che, quando si saranno riattaccati i cocci, che sia per la residua capacità federativa di Berlusconi o per l’emergere di nuove figure e stili politici, è presumibile che la guida del Paese tornerà contendibile anche da quella parte politica.

A leggere i dati, e a guardare anche i flussi (che riguardano tuttavia solo sette città, tra le quali non ci sono Roma e Milano) si può forse indovinare meglio il bivio dinanzi al quale ci troviamo. Si vede infatti che contano senz’altro le situazioni particolari, come quelle di Napoli e Salerno, dove proposte politiche molto peculiari determinano flussi più marcati, in particolare in entrata verso i sindaci uscenti, Luigi De Magistris e Enzo Napoli, e in uscita, nel capoluogo partenopeo, soprattutto dal Pd. A dimostrazione di una crisi conclamata del partito democratico, che dura da parecchi anni e che queste elezioni non hanno affatto superato, se mai acuito. Conta tutta ciò, ma nel complesso si fa chiaro che la divisione in tre blocchi del consenso politico, fra centrosinistra, centrodestra e Cinquestelle è in via di consolidamento, con pochi, marcati travasi di voti da una parte all’altra. A fare la differenza è se mai la capacità di non perdere ulteriori consensi verso l’area dell’astensione. I ricercatori del Cattaneo mostrano infatti che neanche i M5S riesce a riportare al voto gli astenuti. Resta così il bivio al quale il voto amministrativo ci consegna per i mesi a venire: da una parte si restringe la base di legittimazione degli istituti della democrazia rappresentativa; dall’altra, rimane la necessità di assicurare governabilità pur in presenza di un Paese diviso in tre. E la formula risolutiva del problema è ancora da trovare.

(Il Mattino, 8 giugno 2016)