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Le armi e le lobby più forti di Obama

1998.1.275

La strage di San Bernardino, in California, è solo l’ennesima, futile strage. L’ennesimo episodio di follia, a leggere sbigottiti le cronache, se alla follia dobbiamo ricondurre un’esplosione di violenza insensata, cieca, priva di scopo. Questa volta in un centro disabili, altrove volte in una scuola, oppure in un supermarket: posti di vita ordinari, trasformati improvvisamente in poligoni di tiro.

Una violenza insensata, però armata secondo la legge. Le armi che hanno sparato ieri sono con ogni probabilità legalmente detenute dai killer, come tutte quelle che hanno fatto vittime negli States in episodi tragicamente simili. Non più tardi di due mesi fa, il Presidente Obama tenne un discorso – qualcuno li ha contati: il quindicesimo dopo un eccidio causato da armi da fuoco – e ammise sconsolatamente che quei discorsi, così come i servizi televisivi che li accompagnano, e le frasi che si dicono nei giorni successivi, sono tutte cose ormai «di routine». Due anni fa, nel 2013, dopo l’ennesima strage, Obama si era invece presentato alla stampa e al Congresso, insieme al vice Presidente Joe Biden, dicendosi determinato a far approvare un piano dettagliato: divieto di vendite per le armi con maggiore potenza di fuoco, limitazione delle possibilità d’acquisto in base a precedenti penali o alla presenza di determinate patologie, campagna di informazione: cose così, di buon senso. Non sono passate. E francamente è difficile ipotizzare che Obama riesca ora, nell’ultimo anno di Presidenza, a farle passare. Se ci riuscisse, certo lui passerebbe alla storia. Incerto e titubante in politica estera, vincerebbe la partita più difficile, contro il pericolo massimo: garantire la sicurezza degli americani dagli americani stessi. Sono loro, infatti, che lasciano più vittime sul selciato. O tra i banchi di scuola, in mezzo agli scaffali di un supermarket, dietro le auto in un parcheggio.

Per temere però che Obama non ci riuscirà neanche questa volta è sufficiente dare un’occhiata agli spot pubblicitari della National Rifle Association, la potentissima lobby delle armi. Oppure consultare i sondaggi, dai quali emerge che la maggioranza degli americani continua a ritenere che sia più sicuro vivere con una pistola in tasca, anche se per la medesima esigenza di sicurezza in tasca la pistola ce l’ha anche il tuo vicino. Quanto agli spot: libertà, sicurezza, armi, condita da richiami ai padri della Patria e alla Costituzione: da questa potente retorica non si sfugge. I grandi spazi e l’uomo che li percorre confidando solo sulla canna del proprio fucile, o sul calcio della propria pistola, rimangono miti fondativi della libertà americana.

Già, la Costituzione degli Stati Uniti d’America, quella che gli americani non cambiano mai. Il secondo emendamento dice: «essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben organizzata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto». Vuol dire: se c’è un esercito, allora ci deve essere per ogni cittadino la possibilità di armarsi. Per la Costituzione americana nessun cittadino cede insomma allo Stato il diritto a difendersi da sé, visto che dallo Stato, dalla sua stessa milizia deve potersi difendere . È come se non vi fosse alcun monopolio della violenza legittima, come invece recita la canonica definizione di Max Weber. Nessun monopolio: ogni cittadino, all’occorrenza, può sparare.

Lo scorso giugno Obama aveva mostrato di voler gettare la spugna: «non prevedo – aveva detto – che questo Congresso adotterà alcuna iniziativa legislativa. E non prevedo alcuna azione incisiva fino a quando il popolo americano non percepirà un sufficiente senso di urgenza che li porti a dire: Questo non e’ normale, questo è qualcosa che possiamo cambiare e lo faremo».

Difficile che i morti di ieri spingeranno il popolo americano a cambiare idea. Quanto al suo Presidente, sarà purtroppo costretto a rilasciare dichiarazione di routine.

(Il Mattino, 3 dicembre 2015)