Nulla di fatto. La prima partita del match fra l’indiano Viswanathan Anand, campione in carica, e il norvegese Magnus Carlsen, favorito della vigilia, si è conclusa con una patta. Dopo sole sedici mosse e un’ora e mezza di gioco circa. Eppure il tempo è stato sufficiente a tutti gli appassionati che hanno seguito in diretta l’incontro per rovesciare in rete migliaia, milioni di commenti, a proposito per esempio della tattica attendista del giovane Magnus, che giocava coi Bianchi, o della decisione di Anand di accontentarsi del mezzo punto, invece di approfittare di una posizione lievemente favorevole, per giunta ottenuta coi Neri.
Eh, già: si trattava di scacchi, e della finale del campionato mondiale. Che si concluderà a fine novembre: proprio il giorno della decadenza di Silvio Berlusconi dal Senato, ma anche nel pieno della campagna congressuale del Pd. Che sembra c’entrino, la decadenza e la campagna, come i cavoli a merenda, eppure qualcosina c’entrano. Perché chiunque abbia seguito il gioco si sarà accorto dell’enorme spreco di parole a commento di una partita che quasi non si è giocata. Quel poco che si è visto era peraltro commentato da un bel po’ di grandi maestri, mentre chiunque avesse sullo schermo i due giocatori in bella vista aveva anche disponibili le analisi che i programmi di gioco elaborano a getto continuo: le mosse migliori, le mosse peggiori, e quelle così e così. Però si critica ugualmente, spesso anche con rara sicumera, permettendosi ironie e battute salaci. Invece di seguire e magari, chissà, apprendere. Viene alla mente un celebre passo di quel reazionario di Hegel, il filosofo, il quale lamentava che ormai passa per pensare, e per pensar libero, solo quel pensiero che diverga da ciò che è riconosciuto come vero e valido. Succede così che i grandi maestri commentano e spiegano, e gli utenti della rete sommergono in un amen quei commenti con i loro propri, infarcendoli ovviamente di motti di spirito e di qualche insulto, di esclamazioni e di faccine varie. Il grillismo applicato agli scacchi.
Non è un fenomeno bizzarro: è la regola, non l’eccezione. È quel che succede sul web. Gli scienziati della comunicazione, che studiano in particolare il campo della politica, parlano a questo riguardo di due fenomeni opposti che però vanno a braccetto (per la gioia di Hegel, golosissimo di simili contraccolpi dialettici). Parlano infatti da un lato di de-democratizzazione, dall’altro di iper-democratizzazione. Nell’uno e nell’altro caso, la democrazia si trova messa a mal partito. De-democratizzazione, ossia progressiva espropriazione della decisione politica a vantaggio di istanze supposte neutrali, tecnocratiche, indipendenti; i computer e i programmi di scacchi, nel nostro esempio; iper-democratizzazione, ossia frammentazione del consenso in un pulviscolo di opinioni individuali, e anzi tanto più individuali, cioè prive di qualunque riconoscimento generale, quanto più prive di significato: sono i cinguettii online che hanno accompagnato i due scacchisti nel corso della prima sfida.
Oggi si gioca la seconda: chissà come andrà. Ma, comunque vada, andrà che l’evento sarà accompagnato dalla nuvola dei commenti. Ora fateci caso: i commenti sono sempre peggio di ciò che commentano, se non altro perché stanno per lo più come battute estemporanee a commento di mosse ben ponderate (oppure di articoli, o i qualunque altra cosa). Elizabeth Suhay ha studiato in particolare il fenomeno dell’«incivility» del commento, e delle sue conseguenze sull’opinione pubblica. E ne ha concluso che il principale effetto è senz’altro la polarizzazione delle opinioni. Si fa il tifo. Si fa il tifo pro o contro la decadenza di Berlusconi. Si fa il tifo pro o contro Renzi. Si partecipa, si dice; non è proprio così: per lo più si parteggia. Quando lo storico francese Renan disse che la nazione è «un plebiscito di tutti i giorni» aggiunse con prudenza: «mi si perdoni la metafora». Non gliel’hanno perdonata. L’hanno preso alla lettera. Forse hanno inventato la Rete apposta per realizzarlo. Grillo almeno la pensa così. Ma lui, l’inventore del Vaffa day, non si preoccupa affatto dell’«incivility» e dei suoi effetti: l’ultima cosa che gli si può chiedere è la moderazione nei commenti. Hegel invece era preoccupato di tutti questi uomini liberi che, come stanno in piedi e camminano (oggi diremmo: come accendono il computer e si connettono), così si sentono sicuri del fatto loro. Ma Hegel, lo ripeto, è solo un cattivo reazionario. E così l’iperdemocratizzazione ce la teniamo, anche se forse comporta qualche serio rischio di de-democratizzazione. Se ne vedono già i segni. E forse sarebbe utile che quelli che si stanno avviando a fare o a rifare partiti vecchi o nuovi ci pensino un po’, magari anche prima della fine del campionato mondiale.
(Il Mattino, 10 novembre)