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Troppo cristocentrismo, via

Venerdì sera, a Salerno, andava in scena un colloquio fra Vito Mancuso e Marco Pannella, dal titolo: "Come e quali credenti, oggi, qui".

Non so se abbiate la pazienza di sorbirvelo tutto: io l’ho avuta (anche se al mio fianco il Venerabile commentava disincantato che la cosa migliore della serata erano le sedie), anche perché ero andato lì apposta, con l’intenzione bellicosa di porre a Mancuso una domanda a partire dal libro, L’anima e il suo destino, che avevo letto nel 2007, a dicembre (insieme a Patrimonio, di P. Roth: ricordo la cosa per qualche ragione). La domanda lascia perdere l’idea di fondo del libro – che c’è una fresca corrente che ci porta ben benino dalla materia fino allo spirito, all’infinito e oltre -, e si sofferma su un punto al quale mi pareva che un teologo dovesse tenere un po’ di più di quanto non facesse Mancuso nel libro. Ma mi sbagliavo.

P.S. Se scorrete la colonna degli interventi, a destra, vi potete risparmiare le due ore complessive, e limitarvi a domanda e risposta.

Di fronte a un pensiero così

Lunghissimo articolo di Vito Mancuso, addirittura con escursioni di politica internazionale, che è però rapidamente riassumibile, grosso modo, così: Nietzsche è il padre spirituale del nostro tempo; per Nietzsche non c’è peggior nemico del cristianesimo; la teologia deve pensare all’altezza di Nietzsche, senza inganni e senza infingimenti; si fa questo quando si pensa che il mondo è forza, e nient’altro che forza, e che è vano pensare di chiamarsene fuori, anche se ciò non vuol dire soltanto rendersi ad essa.

E fin qui. Poi però Mancuso dice pure che uno che ha portato Nietzsche nel cristianesimo è Bonhoeffer, e che il suo problema era vedere, certo, la forza, la forza anonima, ma per ritrovare dentro di essa (non di fronte, non fuori), la provvidenza personale, il tu. Scoprire quindi che la forza più grande è l’amore. "Di fronte a un pensiero così, Nietzsche non avrebbe accusato il cristianesimo di menzogna", scrive Mancuso. Ma davvero Nietzsche non avrebbe considerato menzognera la proposizione di Mancuso, che la più grande forza è l’amore (l’amore cristiano, I suppose)? Sicuro che questa conversione dell’esso in un tu non sarebbe accusata di menzogna sol perché il tu, anziché stare di fronte, sopra o al di là, sta proprio dentro le viscere della storia?

Temo proprio che ci sia poco da stare sicuri.

Un gesto coraggioso

Torno su Mancuso, per linkare la migliore difesa del libro L’anima e il suo destino (grazie a Roberta De Monticelli, su InSchibboleth). E’ una difesa che non entra nel merito, non discute il contenuto della posizione di Mancuso, si ferma sulle soglie del libro e giustifica "il gesto coraggioso" di Mancuso, che ha posto fine all’epoca del doppio binario: "la gran dialettica filosofico-teologica fuori, il catechismo un po’ nascosto dentro".

In effetti è così. E ha ragione la De Monticelli: dire che, quale orrore, è un libro ‘pop’, non risolve gran che. Avendo poi qualche conoscenza dell’attuale "gran dialettica filosofico-teologica fuori", cioè dei Cacciari, dei Donà, dei Vitiello che dialogano con i Bruno Forte e i Piero Coda, devo dire che sì: il dialogo non si svolge mai sulla lettera catechistica (chiamiamola così). Ed è giusto che Mancuso si sia un po’ stufato. I filosofi no, poiché non hanno bisogno di difendere quella lettera, ma i teologi: non dovrebbero spiegare come andrebbe difesa? Oppure non va difesa? L’impressione che ho ricevuto, leggendo commenti qua e là di credenti seri e impegnati, è che costoro vedono bene come l’esperienza cristiana della fede, alla lettera, sia molto lontana dalle pagine del libro di Manuso, ma evidentemente confidano in un’intelligenza di quella lettera in cui Mancuso non confida più. Perché essi vi confidino, però, non è chiaro. Mancuso ha voluto chiarirselo, ha voluto provare ad immaginare di poter dialogare ‘fuori’ proprio di quella lettera, senza nasconderla.

Da questo punto di vista,è veramente esemplare la risposta (secca, priva di particolare sapienza teologica, ma secca e diretta) che Vito Mancuso ha dato qualche settimana fa a Bruno Forte. Di solito, la "gran dialettica filosofico-teologica fuori" discute dottamente del peccato originale, o della salvezza in Cristo, senza porsi però le domande che ad esempio pone nella replica Mancuso. Ad es.: d’accordo, e i non battezzati? O cambi la lettera del dogma, o la nascondi. Non puoi abolire il Limbo, tenere il peccato originale e il sacramento del battesimo nel suo significato tradizionale, e però dire che i non battezzati non vanno all’inferno. Alla lettera ci vanno, eccome se ci vanno (o ci dovrebbero andare).

(Però, sia detto en philosophe, nella replica Mancuso ha solo parzialmente ragione su Kant. Anzi, ha fondamentalmente torto).

La religione non salva

(Ecco, qui sotto, l’attesissima noterella all’articolo di Mancuso. Chiedo all’autore la cortesia di considerare che trattasi di nota di commento su un blog, e che dunque ha la scioltezza che simili testi richiedono, anche quando sono colpevolmente lunghi. Il curatore del sito mi ha poi chiesto nei commenti di discutere di là, dve il testo di Mancuso è stato pubblicato. Lo farò, ma vista la lunghezza della nota mi pare sensato metterla anche qui)
Un po’ di faticose premesse (del che farei volentieri a meno, ma non voglio urtare la suscettibilità di nessuno): Mancuso scrive “perché sono cristiano”. Non: “perché sono cattolico” (e neppure “perché sono cristiano nel senso in cui si è cristiani nel 2007”,o “nel senso in cui il cristianesimo è definito qui o là, da Tizio da Caio o dalla Tradizione tutta"), sicché non comincerei col dire se sia o non sia vero cristianesimo, e se il cristianesimo sia o non sia un’altra cosa – col che non voglio neppure dire che una tale questione non sia importante, non abbia senso, storico e teologico, e non possa essere magari un punto di conclusione: dico solo che non comincerei così. Poiché peraltro non parlo a partire da una comunione nella fede, e chiunque può insegnare a me quale sia il vero cristianesimo (il vero cattolicesimo, la vera religione) mi soffermo solo sul tenore degli argomenti. Prima di farlo, farei osservare a chi si ritrae considerando che il cristianesimo è un’altra cosa:
che se il cristianesimo si è dovuto definire anche ‘contro’ pelagianesimo, arianesimo e un mucchio di altre cose, deve voler dire che pelagianesimo, arianesimo e queste molte altre cose sorgono su un terreno comune, sul quale ci si definisce e distingue. Non vedo quale utilità vi sia a considerare certe partite chiuse per sempre, e a non riconoscere peraltro l’ovvio: che Mancuso sa bene – mi pare – che il suo cristianesimo non è quello di Paolo o di Agostino. Lo sa così bene che lo scrive, nel libro (così come scrive e rende espliciti nel libro i suoi dissensi su diversi punti, anche teologicamente molto rilevanti): obiettarlo non è perciò molto utile;
che ritraendosi in questo modo riesce difficile dialogare con chi non ha analoghe preoccupazioni di aderenza al vero cristianesimo, o con chi considera che questa ricerca sulla verità del cristianesimo possa e debba svolgersi anche al di fuori (non necessariamente contro) il dettato della Chiesa.
Ciascuno può dire sia che il suo cristianesimo è diverso da quello di Mancuso ed è più vero perché più fedele, sia che il cristianesimo della Chiesa cattolica è diverso da quello di Mancuso ed è più vero perché è quello della Chiesa cattolica. Nessuna delle due posizioni è disprezzabile, in sé e per sé: solo che non contiene, formalmente parlando, un argomento (il che non è necessariamente un male sotto ogni possibile punto di vista).
Ciò premesso, e chiarito dunque che io non discuto di tutto ciò (benché sia molto interessato a conoscere, in particolare, la replica di Mancuso alle osservazioni che gli ha rivolto sull’Ossevatore romano mons. Bruno Forte), vengo a questo testo.
Anzi: non ancora.
La ragione per cui mi ha colpito sta infatti già nel libro (di cui ho parlato su Left Wing). Mi pare che nel libro Mancuso conduca il tentativo di rendere plausibili (ragionevoli, comprensibili, e soprattutto compatibili con le scoperte della scienza moderna) una serie di asserti tradizionali, che appartengano o no al nucleo dogmatico della fede, ma dai quali tuttavia pare a lui che dipenda il significato autentico dell’esperienza cristiana. Se io ad esempio credo che risorgerò, cosa propriamente credo? Se Mancuso si propone di rispondere a questa domanda, obiettargli che la sua risposta non è in linea con la dogmatica, o con il nucleo vero della religione cristiana (cattolica), si può fare, naturalmente, e ha la sua importanza, ma non è una risposta alla domanda, a meno di non esplicitare quel nucleo (e l’intellegibilità in questione). Altra cosa è obiettare che non c’è risposta a questa domanda. Ma proprio qui sta la preoccupazione di Mancuso, il quale forse potrebbe rispondere (o almeno: io rispondo): d’accordo, ma allora quanto è estesa l’area di ciò che va creduto senza che sia perciò intellegibile? Non si starà cioè estendendo un po’ troppo, con l’avanzare della scienza? E, dopotutto, la fede non cerca l’intelletto? E cosa, oggi, trova? Altro esempio, su un punto sul quale Mancuso molto si esercita, nel libro: il peccato originale. A me ha sempre molto interessato (in negativo) la posizione di Pascal: è una roba incomprensibile; ma senza, l’uomo è ancora più incomprensibile. Qui non si dà ‘spiegazione’ del peccato originale, ma si accetta perché quella tal cosa consente di ‘spiegare’ quel’altra (l’uomo). A me interessa ora questo: non se sia cristiano chi nega il peccato originale (è abbastanza evidente che in Agostino ci sia eccome, e se Agostino è il cristianesimo, chi lo nega non è cristiano, ma così è troppo facile), ma se sia vero, e come mi possa essere reso comprensibile il dictum di Pascal, e se sia vera l’antropologia che essa fonda (o meglio, su cui è fondato). Mancuso dice che no – mi pare –, che per comprendere le più autentiche esperienze spirituali dell’uomo e avere un ‘corretto’ rapporto con Dio non c’è affatto bisogno (ed anzi è forse dannoso) pensare che l’uomo stia nell’eredita del peccato. Obiettare a Mancuso su questo punto non può consistere allora nel citare Agostino, ma nel sostenere con argomenti l’antropologia 8e l’etica, e l’ontologia) ‘concorrente’.
Io qui mi limito a una domanda (se Mancuso può rispondere, sono particolarmente lieto): perché nel libro lo sforzo di rendere plausibile l’esistenza dell’anima e il suo destino dopo la morte viene condotto solo (quasi solo) nei confronti della scienza. A mio giudizio, c’è lì molta poca filosofia della natura, e molta scienza della natura (forse troppa): con la conseguenza che certe proposizioni cardine (per Mancuso), che l’anima ad esempio è "una forma di energia", non potendo essere prese letteralmente (l’energia di cui parlano gli scienziati è misurabile, quella in cui consisterebbe l’anima no, almeno non ancora), si risolvono in mere metafore. E non vedo quale vantaggio vi sia nel sostituire una metafora ad un’altra. Sono metafore in cui è scoperta l’impossibilità di prenderle alla lettera, e dunque al più sono ausilii dell’immaginazione, non della ragione. Non sono metafore assolute e irriducibili: lo scienziato che legge quelle parole, domanda infatti cosa significhino, e non può trovare che ad esse sia stato dato un significato per lui valido, secondo i criteri del suo sapere. E allora, per rintuzzare queste obiezioni, ci vorrebbe casomai un po’ di filosofia – salvo il fatto che la filosofia ha a sua volta, e di molto, modificato (o anche solo messo in questione) il senso di parole come ‘anima’, (o ‘verità’, o qualunque altra cosa: è il lato che Ratzinger, quando critica la razionalità scientifica troppo ristretta, troppo angusta, dimentica sempre di considerare).
 
Ciò detto, vengo a questo testo (ci vengo davvero).
Mancuso nega che l’evento accaduto a Gesù abbia valore salvifico per noi. E’, da questo punto di vista, un segno dimostrativo – suppongo al modo dei miracoli, che Gesù compiva: nessuno pensa che la verità del cristianesimo dipenda dalla verità dei miracoli compiuti da Gesù. Sicché è legittima la domanda: ma cosa, nella vita o nella morte di Gesù, ha valore salvifico per noi? Mancuso dice che l’eventuale ritrovamento delle ossa di Gesù non modificherebbe la sua fede, Ma la sua fede sarebbe modificata se qualcuno dimostrasse irrefutabilmente la non esistenza storica di Gesù? Dopotutto, è una verità di fatto, che Gesù sia esistito: il che significa che è possibile che non sia vero che Gesù è esistito. Se si scoprisse che è stata tutta una gigantesca montatura, cosa nella verità del cristianesimo a cui Mancuso tiene sarebbe compromesso (a parte la mascalzonaggine dei testimoni che hanno così spudoratamente mentito, architettando la bufala, ma che non rientra – se non ho capito male – nei contenuti di fede da cui dipende la salvezza secondo Mancuso)?
Mancuso afferma di essere discepolo di Gesù per le sue parole, non perché è risorto. Quindi: se anche non fosse risorto. Se anche non fosse esistito. A meno che non ritiene che solo Gesù, in quanto Figlio unigenito del Padre, ha potuto dire quelle parole. Ma non credo che pensi questo, perché non v’è nulla – mi pare – nel suo libro, che fondi la necessità che a dire/rivelare quelle parole (la verità di quelle parole) fosse la seconda persona della Trinità, in quel tale anno, a quella tale ora.
Il significato delle parole di Gesù è eterno, universale. Che siano state pronunciate o meno. Dunque il fatto che siano state pronunciate è irrilevante. Io capisco che un cristiano si ritragga e dica: questo non è cristianesimo, qui non c’è incarnazione, non c’è Dio nella storia, ecc. ecc.; la mia domanda è però un’altra (ed è qui proposta in maniera necessariamente sintetica): ha qualche interesse per Mancuso lo sforzo critico, genealogico, decostruttivo, che la filosofia ha compiuto per revocare in questione quest’idea intemporale della verità (l’idea intemporale, e l’intemporalità dell’idea)?
(En passant, mi colpisce molto il fatto che Mancuso scriva polemicamente: non è così, Gesù non è un agnello “destinato” ad essere immolato ancor prima di essere nato. D’accordo, direi: ma vi sono teologie che hanno pensato l’economia di questo piano della salvezza con modalità diverse da quelle della fredda necessità: perché non le prende in alcuna considerazione?).
 
Altra domanda: se a Mancuso non importa, nel senso che non è nel centro della sua fede viva, la resurrezione dell’uomo Gesù, perché gli importa rendere comunque la cosa plausibile dal punto di vista della scienza? Perché gli importa la risposta alla domanda: “Che fine ha fatto il cadavere di Gesù?” Non sarebbe molto più ragionevole dire che non è risorto, visto che non c’è al momento nessun spiegazione scientificamente accettabile della scomparsa completa del cadavere? Quella resurrezione è un segno. Ma senza quel segno, nulla nell’essenziale cambia, per lui. Perché non dovrebbe allora giungere il tempo di rinunciare a quel segno? Perché i tempi non potrebbero essere maturi? Perché non potremmo avere raggiunto la piena maturità spirituale? Lui però scrive che per il cristiano non c’è altra via che immaginare che sia stato assorbito in una dimensione dell’essere “di cui non abbiamo idea”. Se non ne abbiamo idea, non abbiamo idea neppure di cosa significhi qui assorbimento. E dunque. L’altra via, invece, c’è (ci sarebbe): dirsi cristiano perché si crede nelle parole di Gesù, e lasciar perdere la resurrezione del corpo. Naturalmente, non sto minimamente dicendo che questo sia il vero cristianesimo: dico solo che non capisco perché Mancuso difenda quel ‘segno’, quando mostra che può benissimo farne a meno, ed anzi facendone a meno toglie al suo discorso un impaccio (nel libro, tale mi sembra appunto l’evento pasquale: un impaccio. È l’unico punto, mi pare dica Mancuso, su cui ci vuole un atto di fede ‘cieco’, o quasi. Il resto si può aggiornare e rendere plausibile, questo no).
 
Mancuso conclude infine con le parole: “Non è il cristianesimo a salvare gli uomini, come non li salva nessun altra religione. Non è la religione che salva gli uomini, gli uomini non si salvano perché sono religiosi”. Ai miei occhi, il valore spirituale di queste parole è immenso. Solo per queste parole, Mancuso avrà la mia simpatia sempre (qui non sto argomentando, mi rendo conto). Vorrei però che avesse anche quella dei cristiani! E cioè: perché non lasciare ai cristiani (mi si consenta la leggerezza di questo modo di esprimersi) la loro fede ‘storica’? E perché non cercare (essendo cristiani) di pensare magari non che Gesù è venuto ‘inutilmente’, ma che è venuto a mostrare utilmente l’inutilità di ogni venuta? Perché, più in generale, non pensare, da cristiani, a come la verità di quelle parole possa stare insieme con la verità teologica di Gesù, morto e risorto per noi, che invece Mancuso finisce col vanificare (mi pare)? Mancuso mi sembra escluda che quella verità e questa possano stare insieme; all’opposto, la Chiesa mi pare escluda (con qualche tenerezza per gli uomini qua e là), che questa verità e quella possano stare insieme. C’è qualcuno che si candida a provare invece che possono stare insieme?
(Dico fra i cristiani, per raccogliere l’esigenza posta con quelle parole da Mancuso ai cristiani, invece di obiettare che è pelagianesimo, che è arianesimo, che è un qualunque -esimo già condannato dalla Chiesa ufficiale? Per la mia piccola parte, ho detto invece quale problema ho: la filosofia)

Resurrezione

"Si dice che la risurrezione costituisce la vittoria sulla morte. Ma in che senso? Qui da noi, su questa terra, la morte non è vinta, anzi. Di là, nel regno dell’eterno, Dio non aveva bisogno di vincerla, perché lì egli regna da sempre e per sempre, lì c’è solo lui e il suo regno". E dunque? "Il valore di quell’evento (in sé unico) è solo dimostrativo: è il segno della possibilità reale di una vita personale oltre la morte. Se però quel segno non fosse avvenuto, non cambierebbe nulla da un punto di vista ontologico e assiologico".

Vito Mancuso sulla Resurrezione di Gesù e la salvezza degli uomini. (Più tardi, se ho tempo, una noterella di commento).

L'anima e la sua plausibilità

L’ultimo libro di Vito Mancuso, L’anima e il suo destino, ha venduto decine di migliaia di copie o forse più. In questa pagina, trovate le più significative e per dir così ufficiali stroncature teologiche, quelle della Civiltà Cattolica e dell’Osservatore Romano, nonché la bella replica dell’autore alla prima delle due (la seconda replica è attesa). Ora non ho il tempo di linkare altre cose interessanti sul’argomento, ma vi linko, almeno, l’articolo che ho dedicato al libro su Left Wing, che comincia con domande come queste:

“Com’è possibile che tutta l’immensa vicenda umana dipenda da un singolo evento? Ma Dio, il Padre di tutti gli uomini, non avrebbe potuto trovare qualcosa di più chiaro e di più sicuro per aiutare i suoi figli […]? E soprattutto, non avrebbe potuto trovarlo prima, visto che la resurrezione è avvenuta solo duemila anni fa?”.

Domande non mie, di Mancuso.