(questo articolo è apparso sul Mattino il 4 gennaio 2012)
Fare pronostici per l’anno che verrà potrebbe essere un’operazione inutile, dal momento che la madre di tutte le previsioni, quella ricavata in base a complicati calcoli dalla sapienza astrologica del popolo Maya, dice che, con il 2012, il mondo finirà. Un così fosco presagio renderebbe inutile lo sforzo di risanamento del governo Monti, ma anche quelli del Napoli per entrare in Champions League: non, però, l’obiettivo di andare il più avanti possibile nell’edizione di quest’anno, perché i Maya fissano l’apocalisse a dicembre. Non c’è dunque il rischio che la finale non si giochi per impraticabilità del mondo.
Le previsioni che ci interessano per davvero sono, però, altre. Sono anzitutto quelle che rammodernano le vecchie formule di scongiuro e le risorse così rassicuranti del rito. In mancanza di cerimonie cosmogoniche e altri culti di grande formato, ormai ci accontentiamo di piccole superstizioni tradizionali. Così, se nel cenone di fine anno mangiamo piatti ricchi di lenticchie, è perché portano soldi: non è ben chiaro come facciano, ma ci piace pensarlo. Naturalmente, non c’è nessuno che giurerebbe che i simpatici legumi abbiano questo fantastico potere, ma ciò non diminuisce lo zelo (e il cotechino) con cui le serviamo a tavola. Quel che ci serve, infatti, è ancora e sempre di disporre di qualche mossa ben eseguita per mettere sotto controllo il caso. Ed è un bisogno così fondamentale che anche quando si è perso completamente il nesso con il successo dell’operazione, noi ripetiamo gli stessi gesti apotropaici o augurali, che ci crediamo o meno. La funesta previsione Maya serviva probabilmente allo stesso scopo: non a fasciarsi il capo prima di esserselo rotto, ma a togliere incertezza sulla maniera di regolarsi nei casi della vita. Come quando c’è un morto in casa: tutti sanno cosa c’e da fare e come comportarsi, tutti si muovono nel modo giusto e ben ordinato.
Le previsioni che si portano oggi sono però di ben altra fattura: non perché siano meglio fondate, ma perché si agganciano alle nostre azioni in un’altra maniera, sconosciuta agli antichi. Il genere di previsione in cui infatti abbondiamo è quello delle cosiddette profezie autoavverantesi: quel genere di prognosi sul futuro che, se ci crediamo, il futuro ci fa la cortesia di disporsi nel senso delle nostre credenze. Sembra bello! Credere che domani non piova a tal punto, che non piove davvero! Un passo avanti rispetto alla magia stregonesca, a cui non bastava la credenza, ma occorreva anche la parola magica.
In realtà, con la pioggia la nostra credenza ha ben poco da fare. Ma il numero di fatti che sono influenzati dall’andamento delle opinioni è considerevolmente aumentato, e disporre quindi di previsioni che orientano le opinioni è un modo sicuro per intervenire sui fatti. A volte può non bastare, e infatti tutto l’ottimismo di Berlusconi non è bastato a raddrizzare il bilancio pubblico, e neppure a modificare le propensioni al consumo degli italiani: dopo tutto, quando i soldi non ci sono, non ci sono.
Quel che però è degno di nota, è proprio il retrocedere dei fatti naturali dal novero delle cose che ci interessano e da cui ci facciamo influenzare (almeno fino alla prossima, imprevedibile e prevedibilissima catastrofe), e l’avanzare di strani fattoidi – li chiamano così -, di fatti cioè mescolati alle opinioni, di fatti incistati nelle parole, fatti su cui far previsioni non è affatto contemplare, ma agire.
Cambiata dunque la cerchia dei fatti su cui è interessata ad esprimersi, la modernità ha compiuto un giro completo e, dopo il trionfo galileiano delle previsioni scientifiche certe, ci riconsegna nuovamente a previsioni largamente incerte, per la gioia di tutti gli astrologi da rotocalco, che non si vedono più confutati dalla seriosità dei fisici, ma soltanto affiancati da psicologi allegri ed economisti tristi (questi, di solito, sono gli umori dominanti), non meno incerti di loro circa i casi della vita. A pensarci, Previsioni che, per avverarsi, richiedono il nostro credulo concorso non differiscono di molto da quelle degli antichi stregoni, che si aiutavano piuttosto con formule rituali e gesti scaramantici.
Non resta, dunque, che crederci, indipendentemente dal grado di attendibilità. Con la consapevolezza però che gli esperti in grisaglia che prevedono il corso della borsa o quella dello spread, non sono molto diversi dai maghi di una volta, se non per l’abito più sobrio.