Archivi tag: Nicola Cosentino

Cosentino, se la giustizia getta le chiavi

33770279-un-concetto-di-immagine-di-un-corridoio-misterioso-in-una-prigione-a-celle-di-un-carcere-notte-mostrNicola Cosentino è colpevole. È meglio, molto meglio che lo sia. Che le accuse che gli sono state mosse siano tutte fondate, tutte vere, tutte irrefutabili. Perché la sua custodia cautelare, che dura ininterrottamente da due anni, trova difficilmente spiegazione in principi di giustizia. E mettere qualche data aiuta forse a capirlo.

La prima richiesta di custodia cautelare, per l’ipotesi di reato più grave, il concorso esterno in associazione camorristica, risale al 2009: sette anni fa. In quella richiesta sono contestati fatti che risalgono a prima del 2004: dodici anni fa. La seconda richiesta è del 2011: cinque anni fa. La condotta contestata risale al 2007: nove anni fa.Nel 2013 si pronuncia la Cassazione sulla sussistenza delle condizioni che giustificano la custodia cautelare: Cosentino viene rimesso in libertà. Ma il 3 aprile di due anni fa arriva il terzo provvedimento, questa volta per fatti risalenti a quattordici (quattordici) anni fa. L’ultimo atto è più recente. Prima la Cassazione, a seguito di un ricorso della procura, rimette in piedi le misure cautelari già comminate; poi, lo scorso anno, arriva un’ulteriore provvedimento di custodia cautelare (e fanno quattro) per comportamenti corruttivi che Cosentino avrebbe tenuto nel carcere di Secondigliano. Da quel carcere Cosentino viene dunque trasferito a Terni. E siamo all’epilogo: a marzo la prima misura (quella relativa al concorso esterno) è stata convertita in arresti domiciliari, e così anche la seconda, che peraltro scadeva a metà di questo mese. Ma ne restano altre due e così Cosentino è ancora dentro, mentre i relativi processi sono lontani da qualunque conclusione.

Ora. Se Cosentino è colpevole, come tutti o quasi si augurano per dare una parvenza di giustificazione a questo calvario, allora la custodia cautelare sarà stata una sorta di gravoso acconto, una specie di versamento anticipato a parziale pagamento del debito con la giustizia. Si faranno due conti e si vedrà quanto ancora gli resterà da scontare. Ma se è innocente che si fa? In che maniera si mette riparo a una vicenda simile? In nessuna maniera. Non c’è risarcimento possibile per due anni e più passati in carcere senza colpa alcuna.

Proprio perché nel nostro Paese si finisce troppo facilmente in carcere in attesa di giudizio, Il Parlamento italiano ha meritoriamente approvato, lo scorso anno, una riforma della custodia cautelare che prova a dare un giro di vite, a ridurre la discrezionalità dei magistrati, a fissare insomma criteri più stringenti. In particolare, sta ora scritto che il pericolo per sventare il quale si ricorre alla carcerazione preventiva deve essere «concreto e attuale». Ma c’è la legge e poi c’è l’applicazione della legge. E basta avere una concezione molto estesa dell’attualità per ficcarci dentro ancora e ancora il caso di Nicola Cosentino, a cui pure si contestano fatti assai lontani nel tempo.

È più probabile però che in gioco non sia l’attualità del pericolo, ma il profilo personologico – come lo chiamano i giusperiti – e cioè, in definitiva,il fatto che si tratta per l’appunto di Cosentino Nicola, di cui tutti sanno (ma tutti chi?) di che lagrime grondi e di che sangue il suo potere. Il legislatore ha in realtà voluto rimediare, con la riforma, a quello che troppo spesso accade, che cioè le misure preventive vengano adottate quasi automaticamente, come se la gravità del titolo di reato per cui si procede le giustificasse comunque. Ma qui siamo oltre; qui la gravità sta evidentemente nel fatto stesso di essere Nicola Cosentino. È grave, insomma, che uno come Cosentino stia fuori, a piede libero: da qualche parte, in qualche ufficio, bisogna che qualcuno la pensi così. E che nutra simili pensieri con una certezza della sua colpevolezza tale, che non può certo preoccuparsi di attendere le risultanze processuali. Quelle seguiranno (se mai seguiranno).

Ho detto prima che tutti si augurano che l’influente uomo politico campano, il potente ex sottosegretario all’economia, il ras di Forza Italia, l’amico di Berlusconi sia colpevole, gravemente colpevole, e che bene gli faccia marcire in galera. Io però spero che sia innocente: spero fortemente che sia innocente. Non per lui, e non per simpatia o senso di umanità, ma perché se un giorno dovesse essere giudicato colpevole lo scandalo dell’abuso della carcerazione preventiva spiccherebbe di meno. Qualcuno potrebbe dire: avete visto? Abbiamo fatto bene! E invece no. In nessun caso s’è fatto bene. In nessun caso scontare la pena prima della condanna risponde a giustizia. Ma viene sempre più difficile spiegarlo, monta sempre più la tentazione di andare per le vie spicce, la voglia di sbattere qualcuno in carcere per poi vedere come fare per provarne la colpevolezza. E così si fa sempre maggiore fatica a sostenere il contrario. A dire: colpevoli o no, non si può star dentro per due anni filati senza uno straccio di sentenza. Colpevole o no, Cosentino non può sopportare una detenzione così lunga, in attesa di un processo.

Si fa fatica a dirlo, ma bisogna dirlo e ripeterlo. E per mandare qualche boccone di traverso a qualcuno, sperare pure che Cosentino sia innocente, e che il suo caso aiuti la magistratura e l’opinione pubblica a riflettere un po’ di più sull’uso e l’abuso della custodia cautelare.

(Il Mattino, 4 aprile 2016)

La condanna del carcere senza condanna

Immagine

Nicola Cosentino è in carcere. Siccome ognuno vede nella detenzione di Nicola Cosentino una conferma del proprio giudizio morale, o politico, nessuno fa il passo successivo e si chiede che razza di carcerazione sia, quella riservata all’ex sottosegretario all’Economia del governo Berlusconi. Tocca allora ricordarlo: si tratta di custodia cautelare. La custodia cautelare, secondo le leggi italiane, va inflitta quando sussistano pericoli di fuga, o di reiterazione del reato, o di inquinamento delle prove. A giudicare della sussistenza di questi presupposti sono naturalmente magistrati, altri da quelli dell’accusa. E bisogna attenersi al loro giudizio, e ai casi definiti che l’ordinamento mette a disposizione per gli eventuali ricorsi della difesa. Tuttavia non si può non notare che troppo spesso le condizioni richieste per l’adozione di provvedimenti restrittivi sono profilate non in relazione a condotte specifiche, ma solo «in abstracto». Per esempio: per via delle possibilità a disposizione di un potente uomo politico. E ciò anche se i fatti che lo riguardano, e in relazione ai quali si attende il pronunciamento del tribunale, risalgono a un bel po’ di anni fa. L’uomo politico continua infatti ad avere molti amici, alza spessissimo il telefono, conosce un sacco di cose. Può molto, insomma. Non è questo il caso di Nicola Cosentino? Non ne sappiamo tutti un bel po’? E così siamo daccapo a ciò che ognuno «ne sa», e al giudizio che l’opinione pubblica rende in generale sulla classe politica, sulle aree di collusione col malaffare, sulla pervasività delle infiltrazioni camorristiche, o anche solo sulla piaga delle pratiche clientelari: un giudizio che si salda benissimo – bisogna convenirne – con la carcerazione preventiva del politico chiacchierato.

Solo che nessun ordinamento può trasformare le chiacchiere in un requisito processuale. Nemmeno nel più chiacchierato dei casi. Non si tratta di trasformare Cosentino in carcere in una bandiera, in un capro espiatorio, nella pietra dello scandalo. Tuttavia, non ci si può non chiedere, a distanza di più di vent’anni dall’inchiesta Mani Pulite, se non si debba una buona volta affrontare seriamente il tema della riforma della giustizia e, in particolare, dell’uso della custodia cautelare. Il Parlamento ne sta ridiscutendo, per fissarne meglio i limiti, e il ministro Orlando ci lavora dal giorno del suo insediamento, e allora vale la pena ribadire almeno questo: in un paese civile, non vi può essere il minimo sospetto che la custodia cautelare venga usata strumentalmente, invece che per le esigenze imposte dal codice. Così come non può succedere, come invece spesso succede, che la custodia cautelare si configuri come un anticipo di pena, comminato però in assenza del giudicato. Tanto più che troppo spesso non si arriva a sentenza, oppure fioccano i proscioglimenti, a distanza di anni dall’avvio di procedimenti giudiziari che, nel frattempo, determinano comunque pesanti conseguenze: non solo sulla vita delle singole persone, ma anche sulla vita civile, politica, sociale del paese. In questi anni, per limitarci a queste nostre sventurate terre, inchieste dal forte clamore mediatico hanno riguardato il Comune di Napoli, la Regione Campania, alcuni ordini professionali, la classe imprenditoriale, settori della polizia investigativa, i partiti politici di centrodestra e quelli di centrosinistra. Orbene, qual è il bilancio di tutta questa inesausta attività giudiziaria, in termini di sentenze definitive? Molto povero, forse addirittura fallimentare, anche se non si può dire lo stesso del loro profondo impatto politico e sociale.

Non è un risultato di cui rallegrarsi, ovviamente. Ma qualche dubbio e qualche interrogativo lo pone, e quei dubbi e quegli interrogativi non possono essere scansati solo perché l’opera degli inquirenti è sempre difficile, sempre meritoria, e sempre – va da sé – sostenuta dall’opinione corrente.

Certo, si può ben ritenere che le condizioni di impunità, in cui viene condotta l’attività politica così come quella economica, specie nel Sud, sono tali per cui bisogna a volte necessariamente essere spicci, sennò in carcere non ci finisce mai nessuno e i furbi e i potenti la fanno sempre franca. Ma bisogna sapere che questo ragionamento, condotto con coerenza, sacrifica tutte le garanzie di una civiltà giuridica liberale. Non dico che suoni falso, o che non colga una situazione endemica della società meridionale. Dico però che comporta quel sacrificio. Ed è un sacrificio pesante. Sopportato il quale, peraltro, ci troviamo sempre allo stesso punto: con le stesse emergenze, la stessa illegalità diffusa, e una continua supplenza per via giudiziaria dei normali processi politici e sociali a cui invece dovrebbe rimanere affidato il governo della cosa pubblica, la formazione e il ricambio della classe dirigente, la lotta politica e la competizione economica. E si sa, purtroppo, quale considerazione si ha dei supplenti: si fa finta di ascoltarli, poi tutto torna come prima.

(Il Mattino, 19 aprile 2014)