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Se Forza Italia non ha un erede

acquisizione-a-schermo-intero-19112016-192038-bmp«Nel centrodestra c’è un unico leader e un unico federatore, ed è Silvio Berlusconi». A dirlo è Renato Brunetta. E a quanto pare è vero. Neanche Parisi ce la fa. Ma quello che ai bei tempi era il punto di forza del centrodestra – l’insostituibile carisma del fondatore di Forza Italia – è, ormai da un bel po’, un drammatico punto di debolezza: l’incapacità o forse persino l’impossibilità di costruire un’alternativa al leader di Arcore, almeno finché in campo c’è lui.

Se si mettono infatti uno dopo l’altro tutti quelli che hanno provato a raccogliere la successione del Cavaliere, per investitura diretta o lanciando un guanto di sfida, si rimane impressionati. Ci ha provato Umberto Bossi, il gran capo della Lega. Ci ha provato Gianfranco Fini, il gran capo della destra nazionale post-fascista. Ci hanno provati quelli della generazione successiva: gli Angelino Alfano e i Raffaele Fitto, trasmigrati altrove, e con poca voglia di frequentare ancora Palazzo Grazioli. Poi ci sono quelli a cui ha pensato Berlusconi medesimo. Alfano, per il Cavaliere, non aveva il quid, così lui ha creduto che ce l’avesse Giovanni Toti. Che è stato in campo il tempo necessario per candidarsi in Liguria e mettersi in proprio, gravitando sempre più dalle parti della Lega. Allora è stata la volta di Stefano Parisi, che ha ben impressionato il leader di Forza Italia nella campagna elettorale per il Comune di Milano. Ma ieri è arrivato lo stop, che sa tanto di bocciatura definitiva: Parisi non ne vuole sapere di «quella roba» populista e xenofoba che Salvini rappresenta, e allora Berlusconi lo scarica: siccome il centrodestra lo si deve fare per forza anche con Salvini e con la Meloni, cioè con la destra-destra che guarda a Trump e a Marine Le Pen, il moderato e riformista Parisi non va più bene.

Contateli: sicuramente sarà sfuggito qualcuno, ma se ai già nominati aggiungete tutti gli uomini del Presidente – i professori della prima leva di Forza Italia, come Pera e Urbani, o i fedelissimi come Bondi, Verdini e Cicchitto, arrivate a un numero ancora più grande, e più impressionante. Tutti, in un modo o nell’altro, hanno dovuto mollare. E se Piersilvio e Marina si sono rifiutati di scendere in campo per raccogliere l’eredità del Padre, è forse perché è parso loro evidente chi fosse, in politica, Silvio Berlusconi: Crono che divora i suoi figli. Crono che prova a sfuggire al suo destino, cioè all’ordine naturale delle cose. Perché Crono è il tempo, e necessità vuole che, col tempo, il figlio succeda al padre, e che il padre si faccia da parte. Ma così, nel centrodestra italiano, non riesce a andare.

Dalla parte di Berlusconi sta il fatto che Forza Italia è nata in maniera del tutto artificiale, fuori dalle culture politiche consolidate del Paese. E ancora più artificiale è stata la costruzione del centrodestra, che solo l’invenzione del Cavaliere ha consentito di tirar su, nonostante fosse contro natura l’incontro delle sue componenti: il federalismo e il nazionalismo, il populismo e il riformismo, i socialisti e i democristiani d’antan, un certo laicismo liberalsocialistama anche il tradizionalismo cattolico. Così, se nel mito alla fine la natura torna a imporsi – Zeus sfugge al padre Crono e ne rovescia il regno, stabilendosi sul monte Olimpo – nell’eredità politica berlusconiana non c’è nessun nuovo leader, come ha detto Brunetta, in grado di fare la stessa cosa: ammazzare il Padre, o almeno relegarlo in un angolo. Nella Lega a Salvini è riuscito; nella destra finiana pure (bene o male): in Forza Italia non c’è modo.

Intendiamoci: la doccia gelata che Berlusconi ha inflitto senza troppi riguardi al povero Parisi, che da principe delfino si ritrova improvvisamente senza alcun titolo per succedere al trono, ha le sue ragioni nello scenario politico che Berlusconi vede disegnarsi dopo la vittoria di Trump.Perché delle molte anime che il berlusconismo ha incarnato, quella che sembra prevalere, nell’attuale congiuntura, è l’anima anti-sistema, lo spirito di discontinuità e di rottura, la rivolta contro «il teatrino della politica». Può darsi che il Cavaliere nutra la convinzione che si tratta di una parentesi, che si può aprire e chiudere. Aprire per ingoiare Renzi e il centrosinistra, e richiudere subito dopo per far pesare, nei nuovi equilibri politici che si costruiranno dopo il referendum, la propria forza residuale.

Ora, non è chiaro se questa strategia sia quella giusta, se la destra che torna a fare la destra sia la risposta, e per il centro moderato e riformista si vedrà poi. È anche possibile che, così facendo, altro che parentesi: si porta soltanto acqua al pozzo di Grillo, l’unico che approfitterebbe della caduta di Renzi. Quel che è certo, è che se Forza Italia si muove in quella direzione, allora Salvini rimane, volenti o nolenti, un competitor ma anche un alleato strategico, e Parisi non può essere più il leader e il federatore.

Parisi non ha il quid. L’unico rimane Berlusconi. Ma il tempo passa, Crono divora i suoi figli, e l’Olimpo rischia di rimanere vuoto di dèi.

(Il Mattino, 16 novembre 2016)