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Se i Cinquestelle cambiano pelle

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Con la rinuncia di Patrizia Bedori a correre per la poltrona di sindaco di Milano forse una nuova pagina è stata scritta. Non solo nella storia del Movimento Cinque Stelle, ma pure in quella di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Al primo, infatti, non toccò forse in sorte di morire perché re Alboino se l’era preso a corte e quello, abituato alla vita semplice dei campi, alle rape e ai fagioli, ne morì? Nel nuovo episodio, la semplice cittadina Patrizia Bedori, che gli attivisti del movimento avevano scelto come loro candidata, viene compulsata non da re dei Longobardi ma addirittura da Gianroberto Casaleggio, che la sente, la interroga, la soppesa e le dà un po’ di tempo per pensarci bene. Il tempo passa e la Bedori getta la spugna: evidentemente, non vuol fare la fine di Bertoldo. Del resto, a proposito di commedia, era intervenuto pure Dario Fo, le cui simpatie grilline sono note, per dirsi preoccupato dalla ragazza, cacando dubbi sulla sua adeguatezza.

Ora si sprecano i commenti dei giornali sulle offese sessiste che la Bedori ha ricevuto in queste settimane, e che l’hanno convinta a fare un passo a lato. Le hanno detto che è «brutta, grassa e obesa»; l’hanno definita «nulla facente super cazzolara svogliata», l’hanno descritta come casalinga e disoccupata con l’intento di denigrarla, ma prima di cercare nel mare della Rete o tra gli avversari politici i motivi di tanta ostilità è nello staff della Casaleggio e Associati che la Bedori si sarà trovata dipinta come la Marcolfa, la moglie di Bertoldo: tanto saggia ma alquanto fuori posto, così che alla fine «ottiene grazia di potersene tornare di dove era venuta».

Cos’è accaduto? O meglio: cosa sta accadendo dalle parti dei Cinque Stelle? Le offese: d’accordo. Ma sono le parole di solidarietà – che dai gran capi del Movimento non sono arrivate – a fare ancor più notizia. Perché è evidente che la Bedori non riusciva a convincere Casaleggio dal giorno dopo l’esito delle comunarie. Basta guardare le altre candidature nel frattempo emerse: la Raggi a Roma, la Appendino a Torino, la Menna o la Verusio a Napoli. Tutte professioniste affermate, tutte persone con i titoli di studio e le esperienze di lavoro giuste, tutte solidamente ancorate nella media borghesia. Chi è avvocato, chi è bocconiana e imprenditrice, chi professoressa e chi esperta informatica: l’epoca delle Ciarambino, delle impiegate pubbliche o delle semplici casalinghe, insomma, volge al termine, e il fatto che i profili che la Rete sta selezionando si somiglino fra di loro lascia intendere abbastanza chiaramente che molto poco spazio viene lasciato al caso. Quando vien fuori una Marcolfa, re Alboino e la sua corte – cioè il suo staff – possono apprezzare la saggezza popolare, in un ultimo omaggio al principio per cui uno vale uno, ma poi sono ben contenti se la Marcolfa si prende Bertoldino e si ritira in buon ordine.

Questo dunque sta accadendo. La fase in cui si imbarcava di tutto e di più, ingrossando il Movimento delle istanze più diverse, di spinte radicali, estremiste o semplicemente strampalate (le scie chimiche, i chip sotto pelle, ma anche la generosa foga civica dei volontari che si battono su singole issues) viene per il momento accantonata, e i Cinque Stelle provano a definire meglio il proprio profilo, offrendo un’immagine che li renda meglio riconoscibili all’elettorato. Non più semplicemente come cittadini qualunque, ma come cittadini competenti, affidabili, votabili non solo dalle poche centinaia di amici attivisti del meet up, che partecipano alle votazioni online, ma anche dal resto della cittadinanza. Che al saggio deve andare a scegliere non il condomino più incazzato, ma l’amministratore più capace, e più capace di dialogare coi mondi diversi delle professioni, degli affari, delle imprese.

Rimane la retorica della democrazia diretta, del portavoce in luogo del leader, delle decisioni prese ogni volta tramite la consultazione di tutti su tutto. C’è evidentemente una contraddizione, se poi le scelte vere non possono avvenire se non in una direzione, che l’attività di marketing politico della Casaleggio & Associati è in grado di indicare. Ma lo aveva spiegato bene qualche tempo fa Massimo Bordin: la democrazia diretta si chiama così perché c’è sempre qualcuno che la dirige. Senza la mediazione dei partiti – che nella retorica grillina, com’è noto, sono il male – una Patrizia Bedori non ha nulla da opporre all’aria che tira in Rete, e a chi la soffia. Del resto lo ha spiegato lo stesso Casaleggio, una volta: «La Rete rende possibili due estremi: la democrazia diretta, oppure una neo-dittatura orwelliana in cui si ubbidisce inconsapevolmente a regole dettate da un’organizzazione superiore. Può essere che si affermino entrambi». Già: può essere.

(Il Mattino, 15 marzo 2016)