Se Alessandro Manzoni seguisse le primarie dei grillini napoletani, e avesse voglia di scriverne, titolerebbe probabilmente così: Stefania Verusio, chi mai sarà costei? E chi mai sarà l’altra candidata, Francesca Menna? Sarà colpa di una politica sempre più personalizzata, e sempre in affannosa ricerca di volti noti, ma la scelta grillina di affidarsi, per la candidatura a sindaco di Napoli, a due degnissime persone, ma sconosciute alla quasi totalità dei napoletani,suona francamente improbabile, per non dire che sfiora la pura e semplice casualità. Del resto, il numero di coloro che partecipano a queste procedure di selezione è, di regola, talmente piccolo, che davvero il risultato sembra del tutto fortuito. È toccato a loro, poteva capitare a chiunque altro. La cosa fa pensare alle parole che Paola Taverna, deputata grillina di stanza a Roma, ha usato qualche giorno fa, denunciando il clamoroso complotto degli altri partiti per far vincere il Movimento Cinque Stelle nella Capitale. L’unica maniera di sventarlo, si direbbe, è quella di candidare perfetti sconosciuti (o sconosciute). A Napoli l’hanno fatto; ma così al rocambolesco paradosso della cittadina Taverna si risponderebbe con un paradosso più acrobatico ancora.
Naturalmente, gli esponenti del Direttorio non mancano di spiegare la cosa nei termini ligi della loro dottrina: conta il progetto, uno vale uno (cioè uno vale l’altro e nessuno vale gran che), non ci sono persone insostituibili e tutti sono fungibili, se persino Beppe Grillo ha tolto il suo nome dal simbolo. E così via.
Tutto vero, ma tutto drammaticamente insufficiente. A Napoli il Movimento è attraversato da profonde tensioni. C’è stato il caso di Quarto, con le espulsioni e le dimissioni, poi rientrate, del sindaco Capuozzo; c’è stata l’ondata di epurazioni che ha colpito i meetup partenopei. Non è detto che sia finita, e secondo alcuni è ancora possibile che i Cinquestelle non si presentino nemmeno con il loro simbolo. Come il partito radicale di una volta, che ogni tanto faceva proprio così: si chiamava fuori, addossando la colpa al regime partitocratico.
Non finirà però in questo modo: sarebbe davvero la madre di tutte le stramberie, tanto più in una città che esprime due tra i massimi dirigenti del Movimento, Roberto Fico e Luigi Di Maio. Ma la questione sembra meno legata alle vicende interne al gruppo dirigente napoletano, che alla strategia politica del movimento. Strategia che pare fatta apposta per sottrarsi all’incombenza di governare. Tenersi fuori dall’area di governo paga, in termini elettorali. O perlomeno: evita lo scotto di cattivi risultati amministrativi, la cui scia si prolungherebbe con ogni probabilità fino alle prossime elezioni politiche, se in gioco non sono più piccole realtà locali o città di provincia, ma grandi città come Roma o Napoli. Che cosa mai potrebbe combinare, infatti, un sindaco grillino? Siamo sicuri che Grillo&Casaleggio vogliano davvero saperlo? Siamo sicuri che anche i giovani membri napoletani del Direttorio, che si trovano adesso l’uno sulla seconda poltrona della Camera dei Deputati, l’altro alla guida della Commissione Vigilanza della Rai, siano disponibili a mettere in gioco il loro futuro politico lanciando il Movimento in una competizione vera per la guida di una città così complessa? E se putacaso i grillini vincessero, quanto tempo impiegherebbero anche solo per capire da che parte cominciare?
Non è questo il senso del paradosso di Paola Taverna? Se ci lasciano in mano il cerino del governo, finirà che ci scottiamo con i debiti del Comune, con la macchina amministrativa che magari rema contro, con i conflitti che immediatamente sorgerebbero con gli altri livelli istituzionali. Senza contare le tensioni che nel Movimento si producono ogni volta che si avvicina all’area di governo: scissioni ed espulsioni compaiono subito all’ordine del giorno.
È un’interpretazione malevola? Può darsi. Ma se anche fosse, rimane la questione: non è forse vero che il metodo, ancor più dei contenuti della proposta politica pentastellata, tiene obiettivamente lontano dalle assunzioni di responsabilità politica i suoi militanti e dirigenti? Dalle altre parti va molto diversamente. I candidati in campo scelgono e trovano il sostegno di leader di rilievo nazionale: Berlusconi dà l’ok a Lettieri; Andrea Orlando viene a Napoli a sostenere la candidatura di Valeria Valente. Bassolino, invece, fa da sé e mette il pronome di prima persona innanzi a ogni altra cosa. I grillini diranno invece che il loro nome è nessuno, e che questa è la loro forza. O la loro astuzia, visto che a dirlo saranno comunque proprio i nomi propri della ditta Grillo&Casaleggio nelle cui mani rimane saldamente il controllo del Movimento. Anzi: la proprietà del marchio.
(Il Mattino – ed. Napoli, 20 febbraio 2016)