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Il Cavaliere resuscitato

Quando Silvio Berlusconi si alza, prende il posto di Marco Travaglio, stende finalmente il foglio che ha sventolato per tutto il tempo e comincia a elencare i processi e le condanne inflitte al giornalista, sa che ormai l’ha spuntata. La regia inquadra ogni tanto il sorrisetto di Travaglio – solitamente sicuro e beffardo, stavolta invece imbarazzato e quasi intimidito – ma Berlusconi non ha nessuna intenzione di fermarsi. L’imitazione del quadernetto, che ad ogni puntata di Servizio Pubblico Travaglio apre dinanzi agli spettatori per elencare le malefatte dei politici, e più di tutti del Cavaliere, gli sta riuscendo alla perfezione. Allora Santoro si spazientisce e accusa Berlusconi di avere violato l’intesa raggiunta prima dell’inizio del programma. La tela è squarciata, il palinsesto della trasmissione viene rivelato al pubblico. Ma l’arrabbiatura di Santoro non si spiega solo con l’improvviso strappo alle regole – che peraltro lo spettatore non comprende cosa mai dovessero regolare: il numero dei processi citabili? La lunghezza dell’intervento? La maniera di riferirsi al collega Travaglio, infangandone l’onore? – ma con ciò che sta accadendo sotto gli occhi di tutti: Berlusconi al centro della scena, sicuro di sé e soddisfatto nel doppiopetto rispolverato per l’occasione, e Santoro ridotto al ruolo di comprimarioImmagine

Evidentemente gli accordi non erano questi. Intendiamoci: Santoro porta a casa un record di ascolto che resisterà a lungo, a La7, e sarà battuto nelle prossime settimane, sulle altre reti, solo dal Festival di Sanremo, a conferma che lo spettacolo col quale siamo stati intrattenuti rientra nel genere nazional-popolare. E, del genere, il conduttore televisivo e l’ex-premier sono i campioni, opposti e speculari, da un ventennio a questa parte. Santoro ha dunque, numeri alla mano, di che festeggiare: l’operazione è riuscita. Ma il fatto è che è riuscita a tal punto che il paziente, anziché essere morto, come dice la battuta, è addirittura resuscitato. Forse Santoro se l’aspettava, forse no. Di sicuro se ne è lavato le mani: in apertura di trasmissione ha spiegato che non sarebbe toccato a lui infilzare il toro Berlusconi. Ma se il suo programma non sarà più un arena, cosa potrà ancora essere? Forse il punto più alto della parabola televisiva di Santoro verrà ricordato anche come l’inizio della sua discesa.

Quanto al Cavaliere, è presto per misurare gli effetti politici della sua performance. I sondaggisti sono molto incerti: col pubblico si saranno spostati anche i voti? Difficile a dirsi. Di certo, lo spettacolo di ieri sembrava costruito apposta per restituire l’impressione che l’Italia intera non riesce ancora a spostarsi dai termini nei quali ha pensato e rappresentato la politica negli ultimi due decenni. A cominciare dagli argomenti sciorinati da Berlusconi, attingendo al meglio del suo repertorio: la Costituzione che gli lega le mani, gli alleati che ne frenano lo slancio, i comunisti e l’invidia sociale, l’IMU da eliminare e le tasse che il suo gruppo non smette di pagare. All’appello – cosa alquanto paradossale – è mancata solo la tirata contro i giudici comunisti, colpa di un Travaglio guardingo e spaurito, che non l’ha incalzato sul terreno solito dei processi, dei bunga bunga e delle leggi ad personam. Al suo posto, new entry, il complotto della Germania cattiva, che lo ha sbalzato di sella. Santoro, in verità, ha cercato inizialmente di imputare a Berlusconi i fallimenti del suo governo, ma ha ottenuto un unico effetto: quello di rimetterlo al centro della scena, offrendogli la possibilità di scaricare su Monti tutto il peso della crisi. Altro paradosso: dopo tanta richiesta, da parte dell’opinione pubblica, di cambiamento, di rinnovamento, persino di rottamazione, l’altra sera di tutto questo non c’era traccia, e la novità dell’ultimo anno sembrava consistere solo nella recessione addossata da Berlusconi al Professore e al suo Ministero. Quanto a Bersani e al Pd, non sono mai stati citati. Non da Berlusconi, ma neppure da Santoro. Con l’ulteriore paradosso che i due sono riusciti, per tutta la serata, a starsene comodamente l’uno all’opposizione dell’altro. Come se il Paese avesse bisogno sempre solo di prendersela con qualcosa o con qualcuno, e mai di costruire una nuova maggioranza e, così, una prospettiva concreta per il Paese. Ma non è forse questo l’obiettivo ultimo del Cavaliere, visto che sa di non poter vincere? E Santoro, l’arcinemico, non ha finito col dargli così l’aiuto più grande? 

Il Messaggero, 12 gennaio 2013

La democrazia contro la paura

Di tante maniere per amare la democrazia ce n’è una che è la migliore di tutte, ed è quella di considerare pregi i suoi presunti difetti. Perché la democrazia di difetti ne ha: uno vorrebbe che venissero eletti ogni volta i migliori, i più preparati, i più incorruttibili, ma nella conta dei voti queste qualità non sempre spiccano e alla fine le cose non vanno proprio così. Uno si augurerebbe sempre il trionfo della verità, e invece la democrazia fa dell’opinione la regina del mondo. Uno vorrebbe infine un po’ di stabilità, di sicurezza, di lunga durata, e invece la democrazia costringe periodicamente i cittadini al rito elettorale, affida la vittoria ora agli uni ora agli altri, rovescia i governi, e cambia volentieri i rappresentanti del popolo.

Ora, se vogliamo far nascere davvero dalle ceneri della crisi un’Italia migliore, è forse venuto il momento di dire che tutto questo non è una iattura, ma una fortuna. Che la democrazia scommette sul  cambiamento, ha fiducia nel futuro, mette in gioco ogni volta le sorti del paese perché confida che il paese saprà scegliere, magari imparando dai suoi errori. Lo fa non perché suppone cinicamente che la verità non esiste, e allora tanto vale fare la conta dei voti, ma al contrario va sempre nuovamente ricercata, e per questo è meglio farlo tutti insieme.

In verità, non c’è bisogno di filosofeggiare per capire l’importanza politica delle parole del premier Monti. Ieri il premier ha detto che esclude di guidare il governo anche dopo il 2013. La parola torna ai cittadini, la politica si riprende il suo spazio, e, com’è giusto, conduce la sua giusta (possiamo dirlo?) lotta per il potere. L’esperienza del governo Monti è stata ed è importante, al di là (anche se è sempre difficile andare al di là) delle cose buone e delle cose meno buone fatte o da fare. Ma è ancora più importante l’esperienza alla quale il paese si consegnerà con le elezioni politiche. Che non sono un ostacolo, un fastidio o un ingombro, ma un’occasione, anzi l’unica vera occasione per mettere davvero il Paese su una nuova e più fruttuosa strada. Scegliendo, e investendo con convinzione sul valore della propria scelta.

Per questo, se è grande la responsabilità che il premier sta portando in questi mesi, aiutando l’Italia e l’Europa a tirarsi fuori dalla più grave crisi nella quale s’è mai potuta cacciare, ancor più grande sarà quella che porteranno i partiti in campagna elettorale.

E se lo spread, allora, salisse? E, peggio: se qualcuno usasse, se non ha già usato, questo argomento per comprimere gli spazi della democrazia, i luoghi della critica, le possibilità di cambiamento? In quel caso gli si ricorderà quel che la democrazia deve sempre ricordare, per tenere in pugno le ragioni della sua legittimazione, cioè che essa è nata per sconfiggere l’uso politico della paura, di cui quell’argomento è soltanto l’ultima versione. Monti lo sa, e non ha inteso usarlo, né ha inteso sequestrare il futuro al paese. Sta ai partiti, e in primo luogo al Pd, indicare come intende disegnarlo. Come si fa a giocare la speranza contro la paura, la fiducia nel meglio contro il timore del peggio. Che se poi lo spread salisse davvero, salisse ancora (come se poi finora fosse sceso precipitevolissimevolmente), beh: sarebbe una buona ragione per farle subito le elezioni, non certo per rimandarle o per preconfezionarne l’esito.

L’Unità, 11 luglio 2012