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E gli spruzzatori di brodino a distanza?

Le sottigliezze di cui si può dar prova nella discussione sull’alimentazione forzata sono veramente mirabili. Ecco l’ultimo esempio:

"Non è vero come dice Dario Franceschini che con questa legge sul fine vita si “impone l’alimentazione artificiale a una persona anche contro la sua volontà”. Si confonde il trattamento sanitario (che comprende anche l’introduzione di un tubo gastrico nello stomaco) con la somministrazione del sostentamento (che riguarda ciò che scorre nel tubo, una volta inserito). La legge infatti, senza modificare l’attuale prassi, prevede espressamente che “ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole” (art. 4). Perciò se l’alimentazione del paziente dovrà realizzarsi attraverso un presidio artificiale, il paziente potrà rifiutare quest’ultimo e il medico sarà nell’impossibilità pratica di intervenire finanche per attivare l’idratazione e l’alimentazione del paziente".
Alberto Gambino (Ordinario di Diritto privato e Diritto civile all’Università europea di Roma)

Ora, poniamo il caso del cucchiaio. Il paziente non vuole il brodino. Il brodino gli tocca, ma lui può rifiutare il cucchiaio. (Perché mai qualcuno dovrebbe potere infilarmi il cucchiaio in bocca?) Se però il personale paramedico è così bravo da riuscire ad approfittare di miei momenti di rilassatezza, e per esempio riuscisse, mentre parlo, a lanciarmi spruzzi di brodino in bocca, in tal caso non si sarà determinata alcuna imposizione del brodo contro la mia volontà.
(Anche se confesso che non mi è del tutto chiaro come andrebbe considerato il caso dell’uso di spruzzatori di brodino a distanza)

Astensione

(E mentre il PD sta lì che riflette e medita, la Commissione Sanità del Senato vota il DdL Calabrò come testo base. Ignazio Marino vota contro (insieme ad altri cinque), Dorina Bianchi, che ha sostituito Marino come capogruppo del PD, si astiene (insieme ad altri due). La "posizione prevalente" del PD in materia di testamento biologico sembra dunque essere, numeri o non numeri, quella di astenersi).

Quando si vuol fare una legge, in cui la volontà individuale figuri il meno possibile…

Alfa: Il divieto di accanimento terapeutico. “il medico deve astenersi da trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni cliniche del paziente o agli obiettivi di cura e/o di sostegno vitale del medesimo.”

Beta: E se io lo desiderassi, questo accanimento terapeutico? Per quale motivo la legge deve impedirlo?

Alfa: …

Beta: …

(Chi poteva scrivere il bel dialoghetto da cui ho prelevato questo pezzetto, se non il caro estinto?)

Il diritto di seppellire – Roberto De Mattei

Roberto De Mattei è uno storico, ed è stato a lungo Presidente dell’Associazione Lepanto. Roberto De Mattei è stato anche professore associato di Storia moderna nell’Università di Cassino. Roberto De Mattei è stato mio collega di Dipartimento. Dico al passato, perché credo sia stato trasferito.
Ma il suo nome è avvolto per me dal mistero, perché non credo di averlo mai visto nelle riunioni del Dipartimento. A volte ho pensato che potesse essere una buona idea appostarsi nei pressi dell’aula dove teneva i suoi corsi, per riuscire infine a vedere com’era fisicamente costituito un presidente di un’associazione come l’Associazione Lepanto. Sono stato sfortunato: ho sempre e solo incrociato un suo assistente, mai lui di persona. Forse usciva dalla finestra, forse si confondeva abilmente tra gli studenti: non so.

Roberto de Mattei ha spiegato al Foglio che parlare di testamento biologico ed eutanasia è per la Chiesa un segno di debolezza: "Mi spiego. Se parlo della fine della vita, dell’eutanasia, della morte cerebrale, non parlo di questioni che dividono i credenti dai non credenti, ma che semmai dividono le persone di retta ragione dagli irragionevoli. Credere che Eluana fosse una persona viva e non morta da diciassette anni, e che sia morta soltanto dopo che le sono stati tolti acqua e cibo, è un dato oggettivo di ragione. Dire questo non può dividere cattolici e non cattolici"
Roberto De Mattei ha ragione: dire che Eluana era morta diciassette anni fa non divide cattolici e non cattolici: divide Roberto De Mattei dal resto del mondo, nel senso che solo lui può sostenere che questo fosse il discrimine nella discussione su Eluana Englaro. Solo lui può credere che Beppino Englaro si stesse battendo per il diritto di seppellirre sua figlia, essendo lei già morta da diciassette anni.

Nota bibliografica 1: "Lepanto combatte il relativismo culturale e il "progressismo", sia in campo politico che morale e religioso, in quanto fattori di un processo di secolarizzazione e scristianizzazione che sembra preparare una prossima persecuzione della Chiesa. Queste offensive sono promosse soprattutto dalle forze socialiste e libertarie e vengono di fatto favorite dai mass-media".
Nota bibliografica 2: Sulla finis vitae De Mattei ha chiesto che "venga messa indiscussione questa nozione di morte cerebrale" che risponde più ad un approccio utilitarista determinato dalla pressione di coloro che praticano trapianti piuttosto che un atteggiamento precauzionistico". "Nessuno può dimostrare che la morte cerebrale determini la separazione dell’anima dal corpo e dunque la morte reale dell’individuo" ha continuato De Mattei. C’è un altà probabilità che quel corpo cerebralmente leso conservi ancora un’anima". Giusto! Ben detto! In dubio pro vita! Propongo vivamente che la nuova legge sul testamento biologico adotti il criterio proposto da De Mattei. Scriva il Parlamento che c’è morte reale quando l’anima si separa dal corpo. Niente timidezze, niente debolezze, per favore.

Io voto per i fiorellini

A domanda sul cosiddetto testamento biologico, sul diritto di mettere per iscritto la propria volontà in merito a trattamenti sanitari e a cure, rispondeva Luigi Amicone su La7 che uno puà metterla come vuole, però se siamo in una democrazia contano i numeri, e quindi sarà la maggioranza a decidere.

Con lo stesso argomento, disponendo di una maggioranza, si potrebbe fare una legge che obblighi a maggioranza Luigi Amicone a girare per strada con una mutanda a fiorellini rossi. Comincio col dire che il mio voto è assicurato.

 

Quella volontà da rispettare

La prima riflessione la merita Beppe Englaro. La merita il suo silenzio, in queste ore, e l’uso sempre pacato delle parole, in mezzo a tanta scompostezza. La merita la dignità e l’amore con cui ha difeso la volontà della figlia Eluana, e la tenacia con cui ha rivendicato il rispetto delle regole. A questo, non certo all’avventatezza di chi chiede che un giudice gli tolga in extremis la patria potestà (lo ha dichiarato con bella improntitudine il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia) dobbiamo il fatto che la pagina della storia civile e politica del nostro Paese che stiamo per voltare può essere scritta in termini che consentano all’Italia di avere, forse, una legge. E avercene, di padri e di italiani così.
Una pagina scritta in termini di diritto, sempre preferibili alle scorciatoie di fatto, alle soluzioni di comodo, che si seguono ipocritamente al riparo dall’opinione pubblica e soprattutto dalle misure di legge. Qui cade la mia seconda considerazione: sui giudici, sulle sentenze. Nulla è univoco al mondo, nulla è logicamente inoppugnabile, ma se dinanzi all’ultimo pronunciamento della Cassazione, che non è certo intervenuta frettolosamente, bensì dopo una vicenda giudiziaria durata anni, si invoca addirittura un decreto urgente del Consiglio dei Ministri per fermare la morte (l’assassinio, l’omicidio), si comprende quanto sottile sia lo strato di civiltà giuridica al cui riparo si difendono i diritti di libertà nel nostro Paese. Non c’è nulla di più urgente della vita umana, ha dichiarato l’on. Volonté (non solo lui, purtroppo), chiedendo a gran voce l’intervento del governo, e probabilmente sarebbe inutile provare a spiegargli quale disastro giuridico e politico sta nella sua richiesta che il potere esecutivo intervenga in via eccezionale, saltando la mediazione di una legge e respingendo il valore di una sentenza, per presentarsi in clinica e sequestrare il corpo di Eluana. Probabilmente, non basterebbe l’intera storia del ‘900 per mostrargli quale violenza si sia potuta sprigionare in base all’idea che il potere esecutivo possa fare a meno di parlamenti e tribunali, quando ritenga di condurre da sé, senza mediazione di legge, la difesa della vita. Fino ad impossessarsene contro la volontà stessa del vivente.
La terza considerazione riguarda finalmente il merito di una vicenda che avrebbe avuto altro corso, se in Italia fosse stata approvata una legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, il cosiddetto testamento biologico. La materia è attualmente all’esame del Parlamento. Il punto più delicato concerne l’idratazione e l’alimentazione artificiale: il sondino che ad Eluana sta per essere staccato, in base alla volontà da lei espressa prima dell’incidente del ’92, e accertata e riconosciuta come tale dai tribunali. Se ci fosse una legge che la raccogliesse nelle forme dovute, non sorgerebbero problemi di accertamento della reale volontà del dichiarante, e almeno una parte della battaglia giuridica condotta da Beppe Englaro non dovrebbe più essere combattuta. Se però passasse la linea che non riconosce ad alimentazione e idratazione il carattere di trattamenti sanitari, ma li derubrica a meri sostegni vitali, verrebbe sottratta alla persona che intendesse rifiutarle la possibilità di appellarsi alla libertà di cura e alla sospensione o al rifiuto delle terapie.
Ora, l’idea che i complessi mezzi tecnici necessari per alimentare artificialmente un paziente nelle cosiddette condizioni di fine vita, il taglio chirurgico e l’introduzione di tubi nel corpo umano in un ambiente ospedaliero non configurino un trattamento sanitario, nonostante richiedano la presenza e l’intervento sanitario di medici e infermieri, rappresenta una sfida al senso comune. Ma il senso comune è sfidato ancor più quando si nega che trattamenti del genere possano mai configurare il caso dell’accanimento. Tale negazione viene fatta discendere dalla negazione che si sia in presenza di terapie: e se non sono terapie, non c’è accanimento terapeutico. Spostata la discussione sulla questione se di terapie si tratti oppure no, passa in secondo piano il significato ordinario del sostantivo, in cui risiede invece la sostanza della questione. Nessuno infatti sosterrebbe che, terapeutico o no che sia l’atto, qualcuno possa accanirsi su di me, sulla mia vita, sul mio corpo. Ciò che non va nell’accanimento non è il fatto che sia terapeutico, ma anzitutto il fatto che sia accanimento. E per dimostrare che c’è accanimento su di me, sulla mia vita e sul mio corpo, la tesi che determinati trattamenti siano naturali o vitali (o naturali in quanto vitali, il che non è affatto ovvio) non può contare più del fatto che quei trattamenti, io, non li voglio. Posso pensare di dover essere ben informato su ciò che comporta il mio rifiuto, e di quale tragica responsabilità mi assumo verso me stesso e verso la società, ma non posso perdere del tutto il diritto di rifiutarmi.
Nessuno di noi è una monade, e vi è un modo di declinare l’idea di una relativa indisponibilità della propria vita in modi e forme laiche, che non dipendano cioè soltanto da un credo religioso. Ma non vi è modo di declinarla laicamente, secondo i principi di una civiltà liberale, se al fondo di qualunque dovere dello Stato, di qualunque percorso assistito, di qualunque
ascolto, aiuto, sostegno, la mia volontà, sul mio conto, non valga un po’ di più della volontà altrui.