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L’insufficienza dell’onesta

Acquisizione a schermo intero 16052015 141556.bmpNella consueta rubrica che tiene sull’Espresso, Roberto Saviano riserva questa volta, nelle ultime righe, una piccola sorpresa. Non è che l’articolo non faccia già notizia per le critiche che lo scrittore indirizza a Grillo. Il leader dei Cinquestelle se l’era presa infatti con Veronesi e la sua Fondazione, sostenendo che si capisce perché il celebre oncologo vada così spesso in tv a parlare di prevenzione e di mammografia: perché riceve finanziamenti dall’industria farmaceutica. A Saviano non ci vuol molto obiettare che, da qualunque parte provengano i finanziamenti, la prevenzione è importante e salva vite umane: la dichiarazione rilasciata da Grillo è apparsa subito « folle», e però lo hanno detto tutti o quasi, sicché nessuna sorpresa. Poi però Saviano fa un altro passo: la butta in politica, e lì si meraviglia che nessuno nel movimento abbia preso le distanze dal leader, e in particolare che non l’abbia fatto Valeria Ciarambino, la candidata donna dei Cinquestelle in Campania, dove più forte è – probabilmente per cause ambientali – l’incidenza del tumore al seno sulla mortalità femminile. Infine Saviano fa un ultimo passo, e arriva la morale. Che non è la solita. E qui sta la sorpresa, perché la lezione che lo scrittore trae dalla vicenda non è affatto in linea con le censure abitualmente destinate alla politica e ai politici, bacchettati sempre per indecenze, ambiguità, timidezze e contiguità con la criminalità organizzata. Stavolta a finire sul banco degli imputati sono l’onesto Grillo e gli onesti tutti. La morale suona infatti così: «in politica l’ignoranza degli onesti è una cosa molto, molto pericolosa. Non basta essere incensurati, non condannati, non indagati. Bisogna essere prima di tutto responsabili». Ovviamente, Saviano non intende affatto che l’onestà non conti, e non costituisca anzi un requisito essenziale della buona politica. Tuttavia, forse perché la logica del ragionamento sin lì condotto lo spingeva a tanto, o forse perché funzionava bene come conclusione, questa volta apprendiamo dalla penna del campione indiscusso di moralità del paese – l’unico in grado di bacchettare persino Cantone, in questa materia – che la prima cosa per un politico non è l’onestà: la prima cosa è la responsabilità. Max Weber, quello della politica come professione e dell’etica come responsabilità opposta all’etica dell’intenzione (che cioè se ne frega delle conseguenze del suo agire) non avrebbe saputo dir meglio. Si spiega così: Grillo fa la morale, se poi le donne smettono di  farsi la mammografia a lui cosa mai importa? Lui ha detto (o presunto di dire, in tutta onestà) la verità, costi quel che costi.

Ma allora: se, in un confronto a due, fossimo chiamati a scegliere fra un politico onesto ma irresponsabile e un politico disonesto ma responsabile, dovremmo forse preferire il secondo, in base al «prima di tutto la responsabilità» di Saviano? Attenzione: è solo un paradosso. Non si vuol cioè dire, né Saviano dice, che è giocoforza essere disonesti, se si vuol esser responsabili. Di più, in una regione fortemente permeata dalla criminalità organizzata, e con un debole senso della legalità come la Campania, la disonestà è forse la prima delle irresponsabilità. Ma rimane sorprendente vedere Saviano lasciar perdere per una volta l’intemerata morale e prendersela invece col partito degli onesti: cioè degli onesti ad ogni costo, che si pretendono in pace con la loro coscienza, salvo dire o fare clamorose stupidaggini.

Ma dalle parole di Saviano capiamo anche un’altra cosa, ancor più dirompente della prima: che cioè se abbiamo la (buona?) ventura di imbatterci in un politico onesto, dalla coscienza non pulita ma pulitissima, anzi adamantina, anzi inattaccabile, c’è caso che proprio questa sua inattaccabilità lo armi oltre misura e lo renda addirittura «pericoloso» per la democrazia, particolarmente (aggiungiamo noi) in un tempo in cui l’indignazione morale produce effetti politici molto più che le proteste sociali o le organizzazioni di partito.  Gli antichi chiamavano hybris, tracotanza, la tendenza a spingersi oltre il confine assegnato dagli dèi agli uomini. Ormai gli dèi sono fuggiti dalla sfera pubblica, e confini simili non ce ne sono più. Ma è bello che sia proprio Saviano ad accorgersi degli sconfinamenti che vengono comunque compiuti da chi pontifica in nome della morale. Non siamo infatti al racconto autobiografico, ma ci piace pensare che poco ci manca.

(Il Mattino, 16 maggio 2015)

L'antropologia: un vademecum

L’antropologia. L’antropologia di Veronesi. Francesco D’Agostino, su Avvenire, spiega che l’antropologia riduzionista di Veronesi non va. Non se sia o non sia cattolico, ma proprio l’antropologia. Voi capite che la richiesta è intellettualmente onesta ma molto, molto esigente. Purtroppo D’Agostino non chiarisce quale antropologia o quali antropologie invece gli vadano bene. A meno che non voglia dividere il campo in riduzionisti da una parte e non riduzionisti dal’altra (starebbe in compagnia con i neo-pagani, ad esempio), il problema è serio. D’Agostino deve aiutarci: quante antropologie distingue, e quali vanno bene? Escluso infatti che gli vada bene solo quella cattolica (alrimenti torniamo a candidati cattolici e non cattolici), diviene necessario procurarsi un manuale di antropologia e scienze umane a titolo di vademecum elettorale.

(Ignazio Marino non ha obiezioni antropologiche da muovere a Veronesi; Luigi Manconi ha un bel modo di difenderlo).