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Contro il declino il dovere di fare squadra

bagnoli-2Sir Winston Chruchill, uno che se ne intendeva, soleva dire piuttosto laconicamente:  «per quanto sia bella la strategia, dovresti ogni tanto guardare ai risultati». Vincenzo De Luca deve aver dato uno sguardo a Bagnoli, e pensato che nella strategia seguita fin qui qualcosa non ha funzionato. In sintesi – voglio dire: nella maniera in cui De Luca usa fare la sintesi – la legge su Bagnoli, la legge voluta da Renzi, è una «legge demenziale».

Dalle parole che De Luca ha usato – e che in linguaggio diplomatico si direbbero «molto franche» – si possono capire tuttavia due cose. La prima: De Luca non giocherà all’uno contro tutti e neppure farà come il sindaco De Magistris, che manda le carte bollate per gridare al torto subito dai poteri forti (poteri legittimi, va da sé, anche se De Magistris non lo dice). La seconda, più importante, è però che il governatore vuole andare dritto al risultato e magari ottenerlo pure. Il presidente della Regione ha appena iniziato la sua esperienza a Palazzo Santa Lucia, dove è arrivato da «uomo del fare», che non ne vuole sapere di chiacchiere e riunioni, ritardi e rinvii. Se infatti c’è una cosa che torna sempre nei primi interventi pubblici del governatore è il tempo, la necessità di fare presto, anzi subito: produrre decisioni, sbloccare cantieri, impegnare fondi.

Su questo, dunque, De Luca punta le sue fiches. E ci sta: è un linguaggio, uno stile, persino una fraseologia che viene immediatamente compresa, dai più, e condivisa. Il punto è però – su Bagnoli e anche oltre Bagnoli – se la dimensione dei problemi che affliggono non solo la Campania ma l’intero Mezzogiorno richieda davvero una traduzione di questa esigenza in termini bruscamente conflittuali, o se la necessaria interlocuzione con Roma ed il governo centrale richieda capacità di agire di concerto, di fare squadra, di condividere idee, programmi e linee di azione.

De Luca è abituato a caricare le batterie del consenso popolare attraverso la tribuna di una piccola rete televisiva locale. Ma accanto a questo tratto populista con cui è costruita la sua figura pubblica – e che, finché funziona, non ha evidentemente motivo di abbandonare – sta l’annoso problema del governo reale della regione. E quindi dell’ambito di rapporti in cui deve essere speso quel consenso, perché produca davvero risultati. La soluzione non può ovviamente essere quella di rinunciare a farlo pesare, il consenso, ma non può nemmeno essere quella di preservarlo o addirittura accrescerlo, avendo però cura soltanto di individuare le figure del nemico su cui di volta in volta dirottare l’attenzione della pubblica opinione – siano essi la palude burocratico-amministrativa, o il sistema dei partiti, o il governo centrale, o infine l’Unione europea. I quali tutti ci mettono magari del loro, per giustificare una simile retorica, ma rimangono pur sempre l’ambiente istituzionale in cui implementare le politiche. Senza curare il quale si abbaia pure, ma non si morde mai.

Il cambio di passo che il governatore intende imprimere alla regione impone cioè costruzione di alleanze, gioco di sponda, e soprattutto un grande investimento di fiducia. Questo è il terreno più difficile. Nei rapporti pubblici, la fiducia riposa tuttavia su fattori meno incerti della simpatia o dell’affidabilità personale, e richiede la capacità di riconoscere e perseguire un interesse reciproco.

Ora però questo interesse c’è. Una strategia nazionale per il Mezzogiorno è interesse del Sud come dell’intero Paese. Anche Renzi deve convincersene, e forse la direzione nazionale del Pd convocata sul Mezzogiorno per il prossimo 7 agosto va in questa direzione. C’è perlomeno il tentativo di tracciare un disegno politico, prendersi qualche chiara responsabilità, e fare scelte conseguenti.

Ha ragione, d’altronde, il neo-governatore della Puglia, Michele Emiliano, a raccogliere e rilanciare la sfida di un fronte comune delle regioni meridionali. Lo richiede sia il formato dei problemi che la forza politica necessaria ad affrontarli. Oggi queste regioni sono guidate da uomini, come appunto Emiliano e come lo stesso De Luca, forti di un consenso per molta parte personale: occorre allora che diano prova di saperlo investire su un terreno più ampio, più largo, che coinvolga e susciti una nuova classe dirigente, che attivi nuove energie, che disegni nuove prospettive di sviluppo. A Renzi devono poter offrire questo: anziché proporsi come i capobastone arcigni del Sud che c’è, immaginarsi come i promotori del Sud che dovrà esserci, e che nessuno di loro può illudersi, d’altra parte, di costruire da solo, contro tutti gli altri.

Per De Luca, le occasioni di mettersi in gioco non mancheranno. Oggi è Bagnoli, domani sarà la cabina di regia dei fondi europei, e dopodomani la scelta per il sindaco di Napoli. È da capire se prevarrà una linea contundente o una linea in qualche misura convergente. È questione di strategie, certo, ma questa volta è, insieme, questione pure di risultati.

(Il Mattino, 2 agosto 2015)