Un sano conservatorismo italico

Che cosa mai è stata la seconda Repubblica? Un fallimento. Si può discutere a lungo sulle responsabilità, ma sull’esito dell’ultimo ventennio è difficile dare un giudizio diverso. Che si guardi al sistema politico o ai risultati economici, che si consideri lo spirito pubblico oppure il grado di coesione nazionale, il saldo risulta, alla fine dei conti, sempre negativo. Non è un caso che, in prossimità della scadenza elettorale, aumenti la sensazione che si tratti non solo della conclusione di una legislatura, ma della fine di almeno un ventennio. Ora, nel bene e nel male, questi venti anni sono stati dominati, in Italia, da Berlusconi e dal berlusconismo. È ovvio quindi che, al tramonto del suo ciclo, il centrosinistra si senta più che mai candidato a guidare una nuova fase nella vita del Paese. Ma un conto è la candidatura, un conto sono i titoli. In democrazia, si sa, contano i voti, non i titoli, non le patenti di nobiltà o le ragioni ideali. E tuttavia processi storico-politici inediti e di lunga durata si aprono solo se si possiedono i titoli su cui si fonda un disegno politico di più ampio respiro, e una rinnovata idea dell’Italia. Orbene, quei titoli al centrosinistra Ernesto Galli della Loggia li sfila a uno a uno. La seconda Repubblica è stata un fallimento; la generazione che l’ha guidata si è rivelata inadeguata al compito. Ma i motivi di questa inadeguatezza si trovano più indietro e più in profondità di quanto possa registrare la cronaca, nella sua quotidiana rappresentazione delle vicende del Paese. Non si tratta dello spread, della corruzione o della perdita di competitività del sistema produttivo – che pure ci sono e pesano. Si tratta di un deficit culturale, di un limite nella formazione delle classi dirigenti. Quella che fallisce è infatti, a quanto pare, una generazione per la quale le parole patria o nazione non hanno mai avuto un preciso significato: tra classi sociali e interesse nazionale, è alle prime che si è dato retta, invece che al secondo. Allo stesso modo, tra valori politici e valori morali è dei primi che si è tenuto conto, piuttosto che dei secondi. I primi risultano infatti più disponibili alle esigenze del momento; i secondi, invece, appaiono meno maneggevoli: lontani dalle urgenze del momento, sono stati sospettati di astrattezza e brutalmente accantonati. Coi risultati che ci ritroviamo. Ma non finisce qua. Non bastano le colpe di un politicismo troppo invadente, e di un debolissimo sentimento nazionale. Il fallimento della politica si accompagna anche ai vizi di un democraticismo mal digerito, all’antimeritocrazia e a una cultura antiautoritaria che ha finito per distruggere il già scarso senso istituzionale degli italiani. La secolarizzazione – parola con la quale altrove si indicano tratti caratteristici dei processi di modernizzazione e laicizzazione della politica – in Italia avrebbe invece comportato la brusca liquidazione del passato, e così l’espulsione dei residui elementi comunitari su cui si fonda la tenuta dello Stato. Insomma: un disastro. Di cui però, se la mettiamo così, l’ultimo responsabile è proprio Berlusconi. Non c’è infatti un sol tratto, tra quelli elencati, che possa esser ricondotto agli ultimi vent’anni: tutto avrebbe origine prima, molto prima. A forza di storicizzare, si finisce così col buttare la palla in tribuna, prendendosela nientedimeno che con gli anni Settanta. E difatti: dove comincerebbero i guai, di cui oggi pagheremmo le conseguenze? Nelle leggi sulla sanità, sulle regioni, sulle pensioni, nel sistema del welfare e nell’assetto istituzionale che ha preso forma non negli anni ’90, e neppure nel decennio precedente, ma negli anni Settanta, nello spirito di un progressismo che, effettivamente, l’Italia ha conosciuto solo in quegli anni, pur così contraddittori. Ecco fatto. Non c’è più nulla, nella storia di questo Paese e nella sua cultura politica, a cui il centrosinistra possa tornare per fondare la visione del futuro dell’Italia. Naturalmente, non vi è nulla di male in una simile lettura, improntata ad un forte conservatorismo politico. Se però qualcos’altro è andato storto in questi ultimi anni, e questo qualcosa si trova nei balbettamenti di una politica priva di forma e di decisione, piuttosto che nei suoi discutibilissimi eccessi, e nei limiti dello sviluppo economico piuttosto che nella inconsolabile perdita di valori morali, allora è il caso di dotarsi di altre, forse più pertinenti analisi, per non rinviare ad altra data i fallimenti del presente, invece di provare a scrollarseli di dosso, e guardare finalmente avanti.

IL Mattino, 23 ottobre 2012

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