La nuova scommessa bipolare

Ligabue 1945 Lotta di galli

A. Ligabue, Lotta di galli (1945)

All’ultima curva, prima di imboccare il rettilineo finale della legislatura, la legge elettorale torna ad essere tema di confronto politico e parlamentare, e si torna a parlare di una sua possibile approvazione.

Difficile, però, fare previsioni: sulla carta, le forze politiche che sostengono il Rosatellum bis – così è stata ribattezzata la nuova proposta – avrebbero i numeri per farla passare. Ma da qui al voto finale ci sono un’ottantina di voti segreti, e la partita è così delicata che incidenti sono sempre possibili.

In realtà, la nuova versione del Rosatellum non risolve i problemi di governabilità del Paese, ma per quello ci vorrebbe un doppio turno alla francese che non è nel novero delle cose possibili. La legge in discussione si limita a distribuire per due terzi i seggi su base proporzionale, e per il terzo rimanente assegna i seggi in collegi uninominali dove i singoli candidati possono essere sostenuti, anziché da liste singole, da una coalizione. Chi può investire sulla costruzione di coalizioni plaude alla legge; chi non ha alcun potere coalizionale la avversa.

A preoccuparsi sono quindi, innanzitutto, i Cinque Stelle, che non saprebbero a chi sommare i loro voti nella parte uninominale. E infatti il fuoco di sbarramento è cominciato subito: il neo candidato premier Di Maio ha avuto parole durissime contro quello che ha definito “un attentato alla volontà popolare”, con argomenti che in verità varrebbero per qualunque legge che abbia effetti disproporzionali. Dopodiché in Parlamento hanno piazzato una mina, nella forma di un emendamento contra personam, che non consente di indicare come “capo della forza politica” chi non può essere eletto in Parlamento. Leggi: Berlusconi. E leggi pure il tentativo di pescare su questa norma voti a sinistra per far saltare l’accordo sulla legge.

Ma di che genere di accordo si tratta? Detto che, se passasse, questa legge elettorale penalizzerebbe i grillini, chi, viceversa, se ne avvantaggerebbe? Guardando tra gli emendamenti presentati, si capisce qualcosa guardando la proposta di rimettere l’indicazione del futuro leader alla forza politica della coalizione che ha preso più voti. L’emendamento è a firma Forza Italia, ma avrebbe anche il favore della Lega. Il che significa che la competizione per la leadership si trasferirebbe dentro la legge elettorale, invece di stare nelle primarie che fin qui Salvini chiedeva e che Berlusconi non aveva nessuna voglia di concedere. Ma significa anche che le distanze nel centrodestra si sono accorciate, e che il Cavaliere comincia a pensare di avere tutto l’interesse a calarsi nuovamente in uno schema bipolare. Assisteremmo così ad una nuova piroetta: dopo essere stato, per tutta la seconda Repubblica, il campione della democrazia maggioritaria, Berlusconi si era convertito al proporzionale, e in lunghe e pensose interviste aveva spiegato come il proporzionale fosse ormai l’unico abito confacente al sistema politico italiano. Ora, invece, complice forse i sondaggi siciliani che danno il centrodestra avanti a tutti, Berlusconi cambia di nuovo: vada per la coalizione con Salvini, e per un voto che in qualche modo la sancisca e leghi le mani per il dopo voto.

Ma le lega veramente? In primo luogo, va detto che l’emendamento è ai limiti, se non oltre il dettato costituzionale. Perché nessuna formula sulla scheda elettorale può limitare il potere del Presidente della Repubblica di nominare il Presidente del Consiglio: cosa dunque comporti indicare il “capo della forza politica” non è chiaro. In secondo luogo, e soprattutto, queste coalizioni, che esistono solo su un terzo dei seggi, ben difficilmente raggiungeranno il 51%, con gli attuali rapporti di forza: e allora come si farà? Ci sarà un inciampo in più per la formazione di maggioranze parlamentari diverse da quelle indicate nella parte uninominale della legge. La qual cosa può forse essere persino apprezzata, almeno da chi non ama il carattere parlamentare della nostra Repubblica. Ma senze vere maggioranze popolari emergenti dalle urne il risultato sarebbe: nessuna maggioranza.

Il rischio è alto, insomma. E l’impressione è che l’emendamento sia una spia del ricompattamento che si sta producendo nel centrodestra, piuttosto che una strada realmente percorribile.

A meno che la cosa non piaccia pure a Renzi, che sarà sicuramente, a sinistra, quello che prenderà più voti. Ma un conto è il singolo emendamento, un altro è l’impianto complessivo della legge. Lì la partita sembra essere un’altra, perché questo tema delle coalizioni è stato gettato tra i piedi del Segretario da chi, dentro il partito democratico, lo considera ormai un ostacolo alla costruzione di un nuovo centrosinistra, di un nuovo Ulivo o di quel che sarà. Franceschini non perde infatti occasione per ripetere che la coalizione s’ha da fare, col che evidentemente sottintende che se, per dialogare con Mdp, fosse necessario mettere da parte Renzi, ci sarebbe chi, nel Pd, farebbe da sponda.

Questo è, alla fine, il nodo decisivo: la legge è studiata per contenere i Cinquestelle, ma non dà affatto garanzie di governabilità, promette intanto di rimescolare le carte nel centrosinistra, e, forse, di dare una mano al centrodestra. E però è firmata dal Pd, come se Renzi scommettesse sul fatto che, alla fine, prevarrà comunque la sua forte leadership nel partito. Ce n’è abbastanza per considerare i giochi tutti aperti.

(Il Mattino, 30 settembre 2017)

 

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