
R. Morris, Three Rulers (1963)
La nomina del procuratore della Repubblica di Napoli – una buona notizia, dopo mesi di supplenza – sta suscitando un vespaio di polemiche. Il voto al CSM, che ha scelto a maggioranza Giovanni Melillo – non è piaciuto a “Unità per la Costituzione”, che dopo essersi espressa compattamente, in seno al Consiglio, a favore di Federico Cafiero de Raho, ha diramato un lungo comunicato per esprimere la propria insoddisfazione per la linea adottata dall’organo di autogoverno della magistratura.
Nessuno dei motivi ripresi nel comunicato – due, essenzialmente: la maggiore anzianità in servizio di Cafiero de Raho, e la vicinanza di Melillo al governo, avendo avuto un legame fiduciario con il Ministro della Giustizia Andrea Orlando, di cui è stato Capo di Gabinetto fino a poco tempo fa – è in realtà rimasto fuori dalle considerazioni svolte nella discussione al CSM. Tuttavia i vertici di “Unità per la Costituzione”, insoddisfatti e per nulla persuasi, hanno voluto ribadirli. E, nel ribadirli, hanno:
ricordato le qualità di Cafiero de Raho che, a loro dire, lo rendevano preferibile per il ruolo di procuratore; mostrato apprezzamento per la “compattezza” dei propri rappresentanti in seno al Consiglio; preso atto della scelta diversa operata non solo dai membri laici del CSM ma anche dai “prorogati componenti di diritto”, che è un modo obliquo e reticente per dire che la nomina di Melillo è stata, per Unicost, voluta dalla politica, e dai magistrati che devono ringraziare la politica per essere ancora in carica; espresso, infine, perplessità, per la scelta di quei membri togati che hanno preferito Melillo a De Raho (nonostante, è il poco gentile sottinteso, la toga che portano).
Il comunicato termina con un augurio di buon lavoro al nuovo procuratore, che dopo tutto quel che si è letto fin lì, suona puramente di circostanza.
Ora, è chiaro che dopo la spaccatura del CSM, Melillo dovrà lavorare per stabilire un clima di collaborazione, di fiducia e di rispetto reciproco, il che è peraltro indispensabile per il buon funzionamento di qualunque struttura complessa. È chiaro pure che le sfide di un territorio come quello napoletano “pervaso da potenti organizzazioni criminali” – come scrive Unicost nell’ultimo rigo del suo comunicato – richiedono anzitutto unità di intenti, e le polemiche non sono certo il miglior viatico per il nuovo Capo della Procura. Ma il commento critico che Unicost non ha saputo evitare di dettare fa soprattutto questo effetto, di ricordare anche al più distratto dei suoi lettori qual è il peso delle correnti in magistratura e quali sono le logiche con cui si muovono.
Gli esponenti di Unicost nel CSM si sono mostrati compatti, e il Presidente e il Segretario del loro partito esprimono grande apprezzamento, proprio come il capo di una corrente democristiana d’antan poteva congratularsi con i propri esponenti all’indomani di un voto in Parlamento. Tutto il fulcro del ragionamento ruota intorno all’imparzialità che il magistrato deve assicurare: non solo essere, ma anche apparire imparziale. E Melillo, per via dell’incarico a via Arenula, non avrebbe questo fondamentale requisito. La qual cosa, ovviamente, non viene detta così: chiara e tonda; ma lasciata intendere, come nel più tradizionale teatrino delle dichiarazioni che i politici rilasciano a margine di un congresso, o di una riunione di direzione. Dopodiché, però, più della rivendicazione della necessaria distanza dalla politica, quel che si sente distintamente, nelle parole usate dalla corrente, è non una rivendicazione di indipendenza ma una rivendicazione di appartenenza, uno spirito di corpo: i miei e i tuoi, gli amici egli avversari, quelli che stanno con me e quelli che stanno con gli altri, o si fanno comprare dagli altri.
Non è mai troppo tardi per accorgersi della politicizzazione della magistratura e della sua degenerazione correntizia, naturalmente. Ma quando (e se) ce ne si accorge, più che prendersela con il prescelto della corrente avversa, sarebbe bene che si provasse a mettere mano seriamente a una riforma dell’istituzione. E invece l’unica riforma che, in materia di giustizia, non ha fatto nessun passo, né in avanti né indietro, né in bene né in male, è la riforma del CSM. Per forza: il governo ha deciso di aspettare l’autoriforma. Campa cavallo. Così il Consiglio Superiore della Magistratura può limitarsi a emanare serissime e più stringenti circolari, per esempio in materia di incarichi, per poi applicarle, disapplicarle o diversamente applicarle a seconda delle esigenze. E, sempre a seconda delle esigenze, o meglio degli interessi in gioco, troverà quelli che ne lamentano l’applicazione, quelli che ne lamentano la disapplicazione, e quelli che ne lamentano la diversa applicazione. In un festival dell’ipocrisia, per cui stavolta sobbalza Unicost, la prossima volta si inalbera Area, e la volta ancora dopo chissà chi.
Non è, come si vede, questione di come possa lavorare Melillo a Napoli e di quale clima troverà in Procura, ma, purtroppo, di come funziona la giustizia italiana.
(Il Mattino, 1° agosto 2017)