«Io non sarei venuto qui a farmi intervistare» dice Beppe Grillo nel corso dell’intervista di Bruno Vespa, e il paradosso sta tutto qua. Intervistare, sottintende Grillo, da uno come te, da uno che non mi dispiacerebbe se finisse in galera, e infatti nel plastico del luogo di detenzione che Grillo vuole ma non può mostrare in studio, insieme ai politici c’è pure Bruno Vespa, che nel frattempo, però, gli sorride malizioso di fronte. Intervistare, per giunta, in uno studio televisivo, nel più salottiero degli studi televisivi, dove a volerci andare un grillino verrebbe espulso. E invece Grillo c’è andato, si è accomodato e si è fatto, per l’appunto, intervistare.
A voler misurare le uscite di Grillo col metro della coerenza non si va però molto lontano. O, per meglio dire: la coerenza va essa stessa misurata rispetto al fine tutto politico che Grillo indica senza alcun infingimento. Conquistare il voto dei moderati, di quelli che decidono in base a quel che passa la tv, e trasformare la contesa elettorale in un duello a due fra lui e Renzi. Che se la cosa gli riesce, il voto di centrodestra è bello che fagocitato. Per questo scandisce con forza, a più riprese: il voto è politico. Se vince il Movimento Cinque Stelle Napolitano va a casa, Renzi va a casa, tutti vanno a casa. L’Italia cambia, l’Europa cambia, il mondo cambia. Anzi: è già cambiato, Grillo se ne è accorto, tutti gli altri no, tutti gli altri sono morti, i politici sono morti, la tv è morta. Però lui ci va lo stesso. E siamo daccapo.
Non c’è che dire: il contenitore gli va stretto e lui vorrebbe poterlo cambiare. Perciò non comincia da seduto, ma si aggira in piedi nello studio: non vuole che si pensi che quella è casa sua. Perciò la grammatica della trasmissione deve essere, per quanto possibile, trasgredita. Niente suoni di campanello, niente ospiti e giornalisti tra i piedi. Niente Vespa in piedi e lui seduto, sprofondato in poltrona, ma l’uno di fronte all’altro. Per un tempo. Dopodiché Grillo si volta sempre più verso il pubblico, trasforma il bracciolo in un piccolo balcone dal quale sporgersi verso le case degli italiani, e cerca di riprodurre il format che gli va più a genio: il comizio, e niente domande. Vespa prova ancora a fargliele, ma Grillo cerca il più possibile di sottrarsi: a volte nel merito, altre volte fin nel metodo. C’è un famoso passo di Platone, in cui Socrate perde la pazienza col sofista di turno, che non la smette di tenere lunghi e torrenziali discorsi. O accetti le domande e dai risposte brevi, s’inalbera Socrate, o per me può anche finire qua. Il sofista accetta (e mal gliene incoglie), Grillo invece no. Nelle domande inciampa, a volte chiede di ripetere per capire meglio, e per guadagnare tempo. D’altronde, i tecnicismi, le distinzioni, le analisi pacate non fanno per lui, non stanno dentro la sua foga, e per questo, via via che la trasmissione va avanti, Grillo si prende sempre più spazio: sempre più spesso si accalora, si sporge dall’improvvisato balconcino della sedia e arringa i telespettatori.
Chi ha vinto? Grillo, temo: non vi sono molti dubbi. Qual è però il significato di questa vittoria? In termini elettorali saranno ovviamente le urne a dirlo. Però Grillo è entrato nella scatola televisiva e ne è uscito senza ammaccature, senza perdita di credibilità, continuando anzi a scommettere proprio sulla sua personale credibilità, e soprattutto sulla mancanza di credito degli altri, di tutti gli altri. Quando Vespa ha provato a obiettargli che a criticare son bravi tutti, e che tutti ripetono che bisogna cambiare le cose, Grillo ha avuto facile gioco nell’inchiodare il programma e fermare l’attenzione sulla questione che più gli sta a cuore: non cosa dici, ma chi sia a dirlo. Chi prende la parola. A chi credere. D’improvviso i contenuti sono diventati ininfluenti, irrilevanti, inutili. E la verità che incombe sul mondo della comunicazione si è fatta d’improvviso palese: la televisione diviene tremendamente efficace proprio quando non comunica nulla, all’infuori del fatto che c’è. Efficace non nel proporre temi, ma nell’imporre attori.
Ma un’imposizione resta pur sempre un’imposizione. Grillo non è sfuggito a questa contraddizione, ma non è detto affatto che l’elettorato democratico voglia mandarla giù.