Torno su un post di Angelita, Polemiche su Dennett, in cui sono discusse e criticate la recensione dell’ultimo libro di Dennett apparsa sul NY Times, Breaking the Spell: Religion as a Natural Phenomenon,e un paio di considerazioni da me riprese (non dalla suddetta recensione, ma da Maverick). Prima di prendere in considerazione le osservazioni di Angelita, preciso che quando ho scritto che sto, a naso, col recensore, mi riferivo al brano d’apertura della recensione segnalato da Maverick e da me citato.
Ma questo, come si dice, per la precisione.
Vengo ora ai punti in discussione.
1. Maverick ha osservato che se si vuol rendere ragione di una credenza, occorre che si cominci presentando la credenza così come la descriverebbe il credente (che ovviamente non significa assumere che ciò che il credente crede sia anche vero). Io ho scritto che questa osservazione mi sembra impeccabile. Se io credo che un asino voli ora sopra la mia testa, mi pare che chiunque voglia dare ragione di come mi sia potuta formare questa credenza debba spiegare proprio questo: che io credo (o dico di credere): che un asino vola. La sua spiegazione potrà pure dimostrare che quel che io credo sia un asino che vola è invece una mosca, oppure che io non credo propriamente che sia un asino volante, ma provo solo qualcosa come un senso di oppressione ‘dall’alto’ che descrivo malamente come un asino volante – qualunque cosa: ma dopo. Proprio perché, come scrive Angelita, si tratta anzitutto di caratterizzare l’oggetto di studio (la credenza religiosa), mi pare metodologicamente scorretto prendere le mosse da altro che non sia il modo con il quale il credente dettaglia la propria credenza. (Aggiungo: se così non fosse, il credente dirà che Dennett è stato bravissimo a spiegare…un’altra cosa). L’explicandum non è l’explicans, e va preso per quel che è.
2. Dennett – osserva Angelita – sta solo caratterizzando l’oggetto del suo studio quando dice che il credente crede in un agente supernatural. Infatti. Ma come si vede al punto 1, questa caratterizzazione non è adeguata. Ovviamente, nessuno impedisce a Dennett di dire che vuole spiegare questo genere di credenza, ma nessuno impedisce allo storico della religione di osservare che non è in questi termini che si presenta la credenza religiosa, e che dunque quel che Dennett spiega meravigliosamente è un’altra cosa.
Per il resto, né io né Angelita abbiamo letto il libro di Dennett, e quindi non sappiamo in che modo questa caratterizzazione intervenga nella teoria di Dennett. Ma faccio un esempio. Poniamo che Dennett ragioni così (so bene che non ragiona così: è un esempio). La credenza religiosa è credenza in un agente soprannatturale. Agenti soprannaturali non esistono. La credenza religiosa è una credenza irrazionale in ciò che non esiste e non può esistere. È, perciò, una patologia. Di essa bisogna dare conto al modo in cui si dà conto dell’insorgere di patologie come le allucinazioni. Dunque, ecc. L’esempio vuole mostrare solo che una certa caratterizzazione dell’oggetto di studio può orientare (e credo che orienti) l’ipotesi scientifica che deve darne conto.
3. Non io né Maverick ma il recensore del NY Times, Wieseltier, sostiene che se la ragione è un prodotto della selezione naturale, allora è tolto ogni credito all’argomento da essa ragione addotto a favore della selezione naturale. Credo che con ciò Wieseltier voglia dire: l’argomento in questione non sarebbe ‘vero’, ma sarebbe solo l’argomento ‘selezionato’ dall’evoluzione. D’altra parte Wieseltier osserva pure che anche qualora Dennett riuscisse a dimostrare l’origine naturale della credenza religiosa, non avrebbe per ciò stesso dimostrato che tale credenza è infondata. Angelita osserva: una volta Wiseltier sembra dunque considerare che lo scavo genealogico infici, un’altra volta invece che non infici ciò di cui dimostra le origini naturali.
L’osservazione di Angelita mi pare fondata. Tuttavia mi domando se Angelita e Dennett ritengano che una spiegazione naturalistica della credenza religiosa dimostri alcunché quanto al contenuto di quella credenza e se per loro una tale spiegazione infici o non infici quella credenza. Adottiamo provvisoriamente, a titolo di spiegazione naturalistica, quella esilarante di Dean Hamer: c’è un gene, il Vmat2, selezionato nel corso dell’evoluzione, responsabile delle “attività cerebrali di tipo religioso”. Individuato il gene, potremmo anche essere in grado di indurre credenze religiose. Fatto ciò, la domanda è: dovremo ritenere che è compromessa quella credenza quanto al contenuto intenzionato? Poniamo che sia così. A questo punto, però, qualcuno potrebbe mettersi in cerca del gene VmatX, selezionato nel corso dell’evoluzione, responsabile delle attività cerebrali di tipo scientifico: con quel che segue. Se invece non inficia, la domanda è: di quale metafisica (poiché è chiaro che la scienza avrebbe fatto tutto quel che aveva da fare), di quale metafisica abbiamo bisogno per considerare che il contenuto logico di una credenza sia indipendente dal modo in cui quella credenza si forma?
Io credo che questa sia una questione filosofica. Credo che la scienza potrebbe ben dire: cosa vuoi di più? Ho trovato il gene, ti ho mostrato come e perché l’evoluzione lo ha selezionato, ora sono persino in grado di attivarlo o disattivarlo, non ti pare che quel che tu chiami contenuto di una credenza sia un mero fantasma, un ente fittizio di cui non c’è alcun bisogno? Ma se è così, che succederà quando troveremo il gene VmatX?
Segnalo infine, last but non least, la mia distanza da Wieseltier: io trovo che il gene Vmat2, o VmatX, non sia la risposta – filosofeggiando: nessuna ‘cosa’ risponde a una domanda –, ma trovo che non essendo una cosa la risposta alla domanda, io non debbo per forza pensare che dove non c’è una cosa allora c’è una spirito, una mens sive ratio, la ragione metafisica di Wieseltier.
Direi così: per CAPIRE il teorema di Pitagora ci vuole un cervello vivo con una data struttura biochimica. Se il mio cervello muore o rincretinisce, per me non c’è più teorema di Pitagora: ma ciò non ha nulla a che vedere con la struttura matematica che genera il teorema di Pitagora, il quale è e resterebbe obiettivamente vero anche quando la specie umana capace di comprenderlo si estinguesse. I Dennet di questo mondo non riescono a fare lo stesso ragionamento riguardo alla religione: certo che ci vuole una certa struttura del cervello fisico per farsi un’idea dell’Idea, della Forma, dello Spirito (o come vi pare), ma questo implica solo che quando gli uomini si saranno estinti, nessun uomo penserà più Dio: una ovvietà. I vari Dennet non sanno concepire lo Spirito come Forma, e quindi trovano perfettamente consona ed espressiva la mostruosità del c.d. “soprannaturale”, che non si sa cosa sia, perché le cose o sono realtà nella natura o sono idealità, ma non ci sono centauri a metà strada. Il “soprannaturale” è fantasia dell’uomo semplice che spera nel nume che lo sollevi dalla fatica, ed è antifilosofico quanto immorale.
Ma ciò detto, ammettere che ci voglia il gene tale per avere pensieri religiosi non è altro che la maggior determinazione di una certezza: che ci vuole un cervello umano per pensare qualsiasi idealità. I Dennet credono di scoprire una novità. Ma noi signori filosofi che dubbi abbiamo al riguardo?
Io credo però che questa differenza (fra vedere che si è influenzati da una cosa per come si è svolta l’evoluzione e il fatto che la cosa sia vera) Dennett la veda benissimo (è un filosofo in fondo).
Però il ragionamento di Dennett potrebbe essere questo:
“c’è questa cosa ai miei occhi manifestamente infondata (la religione), che influenza però un sacco di gente. Non ci saranno uno o più motivi (neurologici, genetici o altro)
perché questa cosa avvenga?”
Vabbè, ho scritto confusamente, ma si capisce, credo.
Evidentemente Dio non è il teorema di Pitagora. Per capirlo non ci vuole Dennet: basta prendere in mano gli Elementi di Euclide e il Vangelo.
Per il resto non mi è chiaro quello che scrive neoclassico: cosa intendi dire con Spirito come Forma?
Che lo Spirito non è il nume che fa il miracolo se il tuo bambino è ammalato (nel qual caso tollero la tua ingenuità) o se devi fare un concorso pubblico (nel qual caso la tua richiesta di soccorso soprannaturale è vile): è la forma del mondo, che si manifesta in ogni minimo atto in cui ti rendi conto di pensare secondo una legge logica, e non soltanto di intuire la tua esistenza. Questo è ciò che i Dennet non capiscono.
Quindi l’errore d(e)i Dennet è di collegare la religione al soprannaturale, mentre invece è naturalissima: è la forma del mondo, che si manifesta nel pensiero logico?
Non so, c’è qualcosa che non mi convince. Il mondo ha davvero una forma come dici tu? Penso al mondo nella sua totalità, come tutto quello che esiste. Non è ingenuo pensare ad una forma chiusa e finita?
“Ma se è così, che succederà quando troveremo il gene VmatX?”
Vogliamo parlarne “dopo” che l’hai trovato? Intanto: “come” ti spieghi il gene Vmat2? Voglio dire: razionalmente.
Risposte dettagliate su F4!
Ciao
Angelita
tra parentesi, non è possibile spiegare una credenza religiosa in termine di “selezione naturale delle idee”, che è solo una metafora; i tecnici, col loro rozzo detrminismo, non riescono nemmeno a trovare una qualsiasi giustificazione per l’insorgere della coscienza. la percezione di sè, che è il primo passo verso la percezione del divino, non da alcun vantaggio competitivo all’individuo; la coscienza sorge senza motivo, nell’adolescenza. contemporaneamente alla menzogna, cui spesso finisce per confondersi.
Dhalgren, in realtà spiegazioni evoluzioniste del sorgere della coscienza ce ne sono. Vedi per esempio Pinker. Può interessare che poco dopo Pinker dice di non credere in un gene o in un modulo del cervello preposto alla credenze religiose.
Angelita
La “coscienza”, Angelita, ha la strana sorte di essere conosciuta soltanto negli atti del soggetto umano; ma questi ciascuno di noi li conosce osservandoli e riconoscendoli come segnali, come atti che potrebbero essere suoi: la “coscienza”, l’introspezione non possono nulla. L’intuizione “io ora sono vivo” è tanto reale e certa, quanto tutta risolta in questa semplicissima espressione: non c’è altro da sapere della “coscienza”.
Dhalgren, il Divino non si “percepisce”: si pensa, perché è Idea, Forma, Necessità Logica. E il Dio d’ogni tempo è descritto da ciò che persuade gli uomini di quel tempo, tutti, non da quello che taluni s’illudono di “percepire”.
Massimo: perchè “esilarante”?